Recensione di Altezza reale, di Thomas Mann
Garzanti, i grandi libri, 1989
Thomas Mann pubblica Altezza reale nel 1909, otto anni dopo I Buddenbrook: tra il grande romanzo dell’esordio e questa fiaba, come la definiscono molti critici, Mann pubblica solo racconti, tra i quali due grandi racconti: Tristano e Tonio Kröger. La distanza temporale e di produzione letteraria tra i due romanzi non è quindi molta, eppure mi pare di poter dire che poche volte si può notare in un autore una differenza così netta d’impostazione e di tematica come quella che corre tra il romanzo che narra le vicende dei mercanti di Lubecca e questa opera, storia di un principe ambientata in uno dei tanti staterelli in cui la Germania era suddivisa sino alla fine della prima guerra mondiale.
Nella parabola drammaticamente declinante della famiglia Buddenbrook è stato sin troppo facile scorgere, da parte dei critici che non si sono accontentati di analizzare la storia in sé e il suo stile, la coscienza e l’esplicitazione della irreversibile crisi dei valori su cui si era fondata l’espansione economica e politica della borghesia nel XIX secolo, tanto che I Buddenbrook è stato spesso definito, anche per la data della sua comparsa, il romanzo che inaugura il novecento letterario (io ritengo invece che I Buddenbrook abbiano avuto parecchi antesignani in qualche modo novecenteschi tra le opere di autori a cavallo dei due secoli, soprattutto in ambito anglosassone). Perché Altezza reale si pone in modo così dialettico rispetto a I Buddenbrook e, anche se probabilmente in misura meno eclatante, con la sua produzione successiva (si pensi in particolare a La morte a Venezia e a La montagna incantata, che costituiranno le successive più importanti prove narrative di Mann)? Perché Mann sente il bisogno, dopo la grande prova di realismo del primo romanzo, di rifugiarsi in una dimensione come detto quasi fiabesca? Per cominciare a capirlo (o meglio per cominciare a illustrare come io cerco di rispondere a questa domanda) partiamo dalla trama.
Continua a leggere “L’antitesi ai Buddenbrook: una “quasi fiaba” che nega l’irreversibilità della crisi”