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Quando la realtà è un incubo gli incubi si fanno realtà

IlCardinaleNapellusRaccontiAgghiaccianiRecensione de Il cardinale Napellus e di Racconti Agghiaccianti, di Gustav Meyrink

Mondadori, Oscar, 1989; Newton, Tascabili economici, 1993

Recensisco questi due volumi congiuntamente perché entrambi contengono racconti di questo autore, e possono essere letti insieme, data la unitarietà delle tematiche trattate. Meyrink si dedica infatti alla scrittura di racconti nei primi anni del ‘900, subito dopo la conversione da banchiere a scrittore: quasi tutti i suoi racconti sono antecedenti alla stesura dei suoi cinque romanzi (tra i quali il più famoso è senza dubbio Il Golem, del 1915): questi due volumi ce ne presentano una selezione, e ci permettono di addentrarci nella conoscenza di una delle più singolari figure di intellettuale della Mitteleuropa a cavallo della prima guerra mondiale.
Meyrink è considerato autore esoterico per eccellenza, e le pagine di introduzione dei due piccoli volumi (quella del volume di Mondadori scritta da Jorge Luis Borges) vanno nel senso dell’esaltazione dell’elemento magico, irrazionale della sua scrittura, dell’influsso che su di essa ebbero le letture cabalistiche e le filosofie orientali. La lettura attenta di questi tredici racconti ci permette di affermare che se la magia, la presenza di forze oscure che determinano il nostro destino individuale e collettivo, il fantastico sono la cifra espressiva patente della produzione letteraria di Meyrink, tuttavia non si tratta di una cifra scelta dall’autore di per sé, ma di uno strumento espressivo attraverso il quale Meyrink si confronta con un’epoca, l’inizio del ‘900, e con una società, quella di area germanica, nei quali gli spettri dell’autoritarismo e del militarismo, l’alienazione delle coscienze derivante dalla organizzazione fordista della produzione e l’imperscrutabilità del potere erano elementi vivi e presenti con cui fare i conti ogni giorno, e che Meyrink sottopone a una critica tanto più corrosiva proprio in quanto traslata su un piano apparentemente alieno: in questo senso non è un caso, a mio avviso, che i suoi racconti fossero pubblicati su un periodico satirico di Monaco dell’epoca, il Simplicissimus, a testimonianza dell’intento ultimo della sua scrittura. Questi tredici racconti, ed in particolare alcuni di quelli raccolti nel volume edito da Newton, secondo me ci consegnano quindi un Meyrink molto diverso dallo scrittore esoterico e magico tanto caro alla destra che ha avuto l’indubbio merito di riscoprirlo, un Meyrink che – fatte salve le dovute differenze anche di valore letterario – è vicino – e non solo per i luoghi frequentati – al coevo Franz Kafka (mi piace pensare che i due si siano incontrati mentre passeggiavano tra i vicoli di Malá Strana alla ricerca delle atmosfere per le loro storie allucinate).
Dei due volumi Il cardinale Napellus è forse il meno interessante, perché propone tre soli racconti e perché tale selezione, curata da Borges, è volta a mettere in evidenza l’aspetto fantastico delle storie di Meyrink. Tuttavia due racconti, il primo e l’ultimo, ci introducono in atmosfere di grande suggestione e scopertamente metaforiche rispetto alla tragicità dell’epoca in cui furono scritte.
Ne J.H. Obereit visita la regione dei Succhiatempo Meyrink affronta infatti la questione dell’esistenza umana come attesa e speranza dell’avvenire, che uccide la capacità di vivere nel presente, che ci succhia il tempo che abbiamo a disposizione. J.H. Obereit decide quindi di rifiutare ogni attesa ed ogni speranza, e così diventa come legno, a tutto insensibile, che lo si accarezzi o lo si faccia a pezzi, lo si getti nel fuoco o nell’acqua. Questo rifiuto della speranza è il motore che gli permette di vivere, anzi che lo rende immortale, perché, come dice, io sono, e solo ora io vivo. E’ una visione letteralmente disperata, quella che emerge da queste pagine, figlia come detto della piena coscienza dell’assurdità e della tragicità del tempo in cui l’autore si trova a vivere, rispetto al quale nessuna speranza è lecita, in cui ciò che chiamiamo vita… è solo la sala d’attesa della morte. La vivida descrizione del viaggio di Obereit nel paese dei Succhiatempo, delle creature che incontra, compreso il doppio di sé stesso, è degna di un maestro dell’orrore e testimonia una profonda frequentazione delle tematiche psicanalitiche che del resto informano l’intero racconto.
Il terzo racconto, I quattro fratelli della luna. Un documento è un vero e proprio atto d’accusa nei confronti di un progresso tecnologico che sta portando al dominio delle macchine sull’uomo e che condurrà inevitabilmente alla catastrofe della prima guerra mondiale. L’atmosfera esoterica, apocalittica e notturna del racconto non ne maschera, anzi ne esalta a mio avviso il contenuto di lucida denuncia di una società in cui poteri oscuri manipolano le coscienze per le proprie inconfessabili e imperscrutabili finalità.
Paradossalmente il racconto che dà il titolo al volume è quello più di genere, più banale, ma forse ciò non è un paradosso, considerando il taglio interpretativo dato dal curatore ai racconti di Meyrink.
I Racconti agghiaccianti editi da Newton ci offrono maggiori sfaccettature della narrativa di Meyrink. Sono infatti presentati anche alcuni racconti nei quali la critica sociale è espressa attraverso l’arma della satira graffiante e grondante ironia: su tutti I cervelli, meraviglioso apologo della stupidità della gretta mentalità tedesca di inizio novecento (solo?) nel quale compare questa frase: a che cosa potrebbero servire, nei paesi di lingua tedesca, dei cervelli che pensano per conto loro?. Anche in altri racconti, quali I segreti del castello di Hataway, Castroglobina e L’anello di Saturno prevale l’accento sarcastico e satirico. In Castroglobina in particolare è preso di mira il militarismo tedesco, ed il racconto assume toni quasi espressionisti.
Ne Il Bramino la satira alla incapacità dell’organizzazione sociale di percepire la realtà, ammantata com’è di autoreferenzialità e ritualità, raggiunge una vetta sublime: il contrasto tra il tono volutamente ampolloso del racconto, la complicazione delle procedure e la semplicità della situazione e della soluzione finale ne fanno un pezzo comico irresistibile.
Di tutt’altro tono è Le piante orribili, dove si torna alle visioni apocalittiche e disperanti rispetto ad una società sempre più disumanizzata: è il racconto che a mio avviso avvicina più Meyrink a Kafka, sia per l’ambientazione praghese, sia per una inquietante analogia con alcune atmosfere de Il processo, pur se supportate da stili di scrittura affatto diversi.
Il volume raccoglie anche alcuni racconti che definirei minori, per essere, analogamente al citato Il cardinale Napellus, più legati al genere che ad una sua interpretazione originale.
L’autore de Il Golem ci si offre dunque, tramite questi racconti, in una prospettiva diversa, che sarebbe sicuramente interessante approfondire anche attraverso la lettura degli altri, numerosi racconti da lui scritti: purtroppo questo piacere ci è negato da un’editoria che non ha ancora trovato la voglia e il coraggio di proporci una edizione integrale di questo piccolo, grande autore.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

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