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Tra simbolismo e melodramma: l’opaco specchio di un’epoca

BrugeslaMortaRecensione di Bruges la morta, di Georges Rodenbach

Mondadori, Oscar classici, 1997

Bruges la morta è l’opera più celebre di Georges Rodenbach, scrittore belga di lingua francese che visse nella seconda metà del XIX secolo, oggi praticamente ignorato dalla nostra editoria ma che ha avuto una grande influenza sulla letteratura italiana (e non solo) del primo ‘900, in particolare sui crepuscolari.
Il breve romanzo è ambientato, come dice il titolo, in una delle più belle città belghe, Bruges, della quale chiunque vi sia stato ha sicuramente subito il fascino. Oggi la città fa parte dei circuiti turistici internazionali, per cui è difficilissimo coglierne quelle atmosfere raccolte ed intime che il romanzo ci consegna; tuttavia, se si ha la fortuna di visitarla fuori stagione o se (come a Venezia) si abbandonano le strade principali occupate per metà dagli ombrelloni dei bar e dei ristoranti e per l’altra metà da torme di turisti chiassosi, intenti per lo più a farsi dei selfie, e ci si rifugia in qualche vicolo solitario magari fiancheggiato da uno dei tanti canali, è ancora possibile immergersi nel clima di dolce ed infinita decadenza che la caratterizza. Come per tutte le città morte, questo clima ha origini estremamente concrete: nasce dalla decadenza dell’importanza economica della città; nel caso di Bruges deriva dall’insabbiamento del canale che la congiungeva al mare, avvenuto alla fine del XIV secolo, che aveva spostato l’asse dei traffici commerciali dell’area verso la vicina Anversa. Come ci dice l’esempio clamoroso di Venezia, ma in generale quello di tantissime altre città italiane, è questo il modo migliore per conservare intatto o quasi l’assetto urbanistico di una città e per conferirle un’atmosfera irreale, quasi magica, che solo l’ignoranza di un nuovo sviluppo convulso e fenomeni come il turismo di massa possono distruggere.
Al tempo di Rodenbach Bruges era davvero una città morta, ancora non sfiorata dallo sviluppo dell’economia industriale, che attraverso i suoi monumenti medievali riverberava i bagliori di uno splendore spentosi per sempre. È proprio questa atmosfera che Rodenbach ci vuole trasmettere, non come un supporto alla storia che narra, ma come elemento essenziale di questa storia, come fattore principale che la determina. Nell’Avvertenza posta all’inizio del romanzo Rodenbach dice infatti: ”In questo studio passionale, abbiamo voluto anche e soprattutto evocare una Città, la Città come un personaggio essenziale, associato agli stati d’animo, che consiglia, dissuade, decide d’agire”. Il ruolo essenziale di Bruges è evidente sin dal titolo, significativamente riferentesi alla città: anche se la storia narrata è storia della morte di persone, l’elemento essenziale è il luogo in cui si svolge, è il fatto che questa storia si può svolgere solo in una città morta.
La storia narrata è quella di Hugues Viane, un agiato quarantenne che cinque anni prima ha perso l’amatissima moglie: allora egli decise di andare a vivere a Bruges, città in sintonia con il suo inconsolabile stato d’animo. Nella sua grande abitazione conserva come reliquie, in una stanza dove neppure la fedele domestica Barbe può entrare sola, alcuni ritratti della moglie morta e soprattutto, in una teca di cristallo, una lunga ciocca dei suoi biondi capelli.
Una sera, mentre passeggia per la città brumosa, nota una giovane donna che gli appare identica alla moglie: scopre che si tratta di una ballerina di teatro, la conosce e diviene il suo amante. Nonostante sia divenuto l’oggetto preferito dei pettegolezzi della piccola e bigotta città, egli è sereno, perché considera la sua nuova relazione come un insperato rinnovarsi del suo amore matrimoniale, e vede in Jane Scott la reincarnazione della morta. Senza parlarle del suo passato, costringe Jane a somigliare sempre più alla moglie, sino a farle portare i vestiti di lei. Quando si rende conto che Jane è un essere volgare, che tra l’altro lo tradisce, cerca di lasciarla, ma non ci riesce per l’attrazione carnale che sente verso di lei; la vicenda volgerà rapidamente in tragedia.
I cinefili avranno sicuramente ravvisato in questa breve trama le affinità della storia con quella narrata da Alfred Hitchcock in Vertigo, a testimonianza dell’influsso che Bruges la morta ha avuto nel ‘900 sia in letteratura, sia nella musica, sia nel cinema.
Il giudizio che mi sento di dare su questo breve romanzo è ambivalente. Senza dubbio Rodenbach possedeva una notevole maestria di scrittura, che gli permette davvero di farci percepire il silenzio dei vicoli di Bruges rotti soltanto dal suono ossessivo delle campane o dallo scalpiccio di qualche anziano che passa frettolosamente, la bruma e la pioggerellina del nord che avvolgono la città, il contrasto tra il colore plumbeo dei canali e l’abbagliante biancore dei cigni che vi nuotano. Mallarmé, amico di Rodenbach, parla in una lettera indirizzata all’autore di ”…poesia, infinita in sé ma… che si prolunga con più fierezza nella prosa”. Questa poesia in prosa è anche davvero capace di farci percepire Bruges come un personaggio, il protagonista vero della storia, paradossalmente viva del suo essere morta. Altri elementi di fascino del romanzo, sempre legati al contesto, sono costituiti dal genuino tratteggio del personaggio di Barbe, forse la figura più vera che si incontra nella storia, e il ruolo svolto dall’indistinto brusio dei pettegoli abitanti della città. I veri punti deboli sono rappresentati a mio avviso dai due protagonisti, che appaiono essere poco più che dei bozzetti. Hugues sembra essere una sorta di appendice umana dell’atmosfera di Bruges, sottolineando con la ritualità dei suoi comportamenti che il vero protagonista non è lui. Jane è poco più che uno schizzo della classica donna volgare e volta solo a sfruttare economicamente chi l’ama. Il protagonismo di Bruges deriva quindi anche dalle indubbie lacune della storia in sé, che toccano il culmine nel melodrammatico finale, che rappresenta a mio avviso una notevole caduta di tono.
Al di là di queste osservazioni sugli aspetti per così dire tecnici del romanzo, credo sia importante riflettere sulla sua collocazione rispetto al contesto culturale in cui viene concepito. Rodenbach è, se così si può dire, un decadente della seconda generazione, che ha come maestri dichiarati Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, ma a differenza di questi è un piccolo decadente: vede come unica risposta alla crisi degli ideali borghesi della fine dell’800 il rifugio in un piccolo mondo antico rappresentato dalle sue amate Fiandre, ed in particolare in questo romanzo da Bruges. Bruges è il rifiuto della modernità, è il simbolo (il romanzo è intriso del nascente simbolismo) di un mondo perduto, nel quale i ritmi sono ancora scanditi dagli elementi naturali, nel quale il tempo è sospeso. Rodenbach è cosciente che questo mondo è morto, che anche in questa atmosfera rarefatta si annidano i germi della corruzione sociale, ma quando si tratta di risolvere questa contrapposizione tra un buon passato e un malvagio presente non sa andare oltre lo stereotipo, il poco convincente melodramma. Questi elementi, provincialismo, rifugio nel particulare, accento melodrammatico, spiegano a mio avviso l’influsso che Bruges la morta esercitò in particolare sui movimenti letterari del primo novecento di un paese periferico ed arretrato come l’Italia.
Giustamente Paola Dècina Lombardi, nella bella introduzione – che però a mio avviso tralascia alcuni aspetti essenziali del rapporto tra le opere letterarie di questo periodo così importante per la cultura europea ed il contesto sociale e politico che le hanno generate – azzarda il paragone con un grande classico, scritto una ventina d’anni dopo, in cui sono protagonisti una città decadente e la morte. Ne La morte a Venezia di Mann il senso del disfacimento di un’epoca è espresso al massimo livello, anche tenendo conto del fatto che qui siamo già in pieno novecento: c’è una precisa corrispondenza tra quanto Mann voleva comunicarci con quella grandiosa metafora ed i mezzi che usa per fare ciò. Questa corrispondenza, questa misura, mancano a mio avviso in Bruges la morta, ed è questo che fa la differenza tra un capolavoro ed un discreto romanzo.
Resta, dopo averlo letto, la voglia di tornare a Bruges, magari in novembre, per vedere se è ancora possibile, nonostante tutto, perdersi nella sua infinita tristezza di città morta.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

4 pensieri riguardo “Tra simbolismo e melodramma: l’opaco specchio di un’epoca

  1. Bella la tua analisi, mi aiuta a cogliere aspetti che non avevo valutato, trascinata forse dalla prosa poetica di Rodenbach e dalla sua suggestione. Probabilmente lo scopo dell’autore era quello di “animare” una città morta e nient’altro e in effetti Bruges prende forma e consistenza e diviene un vero e proprio personaggio, una sorta di “grande ritratto” ( hai letto il romanzo breve di Buzzati che porta questo titolo? ) che non lascia spazio se non al proprio modo di sentire e di essere e che obbliga chi entra nella propria orbita a annullare la propria volontà. Da questo deriva la l’impressione che si ha, leggendo, di un ribaltamento tra oggetti e soggetti. I primi, nel romanzo sembrano essere molto più importanti dei soggetti e dotati di vita propria.

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    1. Ciao Giacinta, grazie per aver letto la mia recensione.
      Forse è come dici tu, ma continuo ad avere per questo romanzo un sentimento ambivalente, legato sia messaggio di “fuga dalla realtà” che ispira, sia soprattutto a quel finale veramente melo’, che non perdono a Rodenbach.

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  2. Provo a farti digerire il finale 🙂 I veri assassini sono i capelli e ciò che rappresentano. Forse l’autore aveva bisogno di un finale che mostrasse quanto l’ideale ( i capelli ne sono la traduzione, il correlativo oggettivo ) possa sostituirsi al reale e “soffocarlo”..:-)

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