Recensione de La storia di mia moglie, di Milán Füst
Adelphi, Fabula, 2002
Molto scarne sono le notizie che ho potuto reperire in rete su Milán Füst, l’autore di questo ponderoso romanzo edito da Adelphi nel 2002. Nato nel 1888 e morto nel 1967, è considerato uno dei più innovativi autori ungheresi del XX secolo, particolarmente attento ai tratti della letteratura occidentale; nel 1948 ricevette il Premio Kossuth, massima onorificenza artistica del suo paese, e fu candidato al Premio Nobel nel 1965. Della sua produzione letteraria in Italia, ma anche in molti altri paesi, è noto solo questo romanzo, considerato il suo capolavoro. Uscito in Ungheria nel 1942, rimase sconosciuto in occidente sino al 1958, quando Gallimard lo pubblicò in Francia.
Füst per me attraversa quindi quasi come un fantasma la prima metà del XX secolo, un periodo segnato per la sua patria, come per l’Europa intera, da sconvolgimenti epocali: la prima guerra mondiale con la caduta dell’impero austro-ungarico, la breve rivoluzione comunista di Bela Kun, il primo dopoguerra con l’affermarsi del revanchismo magiaro e del regime parafascista dell’Ammiraglio Horthy, la seconda guerra mondiale, l’instaurarsi del regime comunista, la rivolta di Budapest del ‘56 e la successiva destalinizzazione. Durante tutti questi avvenimenti Milán Füst vive in Ungheria, con incarichi accademici sia nel primo sia nel secondo dopoguerra, da quanto ho potuto desumere chiuso in una sorta di isolamento intellettuale, alle prese con la sua salute cagionevole. Come si pone di fronte a questi fatti? Quali ne sono le conseguenze sulla sua vita? Che posizioni assume? Cosa traspone di questi drammi collettivi nelle sue opere? Sono domande che forse potrebbero trovare risposta se venissero edite altre sue opere, in particolare il diario che tenne dal 1904, andato però in larga parte distrutto e le cui parti superstiti non mi risulta siano mai state pubblicate in occidente. Continua a leggere “L’enigma di un autore e di un romanzo astratti”