Recensione de Le finestre di fronte, di Georges Simenon
Bompiani, Tascabili, 1989
La sterminata produzione letteraria di Georges Simenon è ancora oggi, nel nostro immaginario collettivo, indissolubilmente legata alla figura del suo più celebre personaggio, il commissario Jules Maigret. Già a partire dagli anni ’30, però, Mondadori aveva iniziato a pubblicare un buon numero degli altri romanzi di Simenon, pubblicazione che era proseguita sino agli anni ’60. È però essenzialmente merito di Adelphi se, da circa trent’anni a questa parte, l’autore belga è uscito dalla qualifica di scrittore di genere cui lo aveva relegato l’ingombrante successo del commissario parigino, per divenire uno scrittore a tutto tondo anche a gli occhi del pubblico italiano: sono ormai una cinquantina infatti i romanzi senza Maigret ad oggi pubblicati dall’editore milanese nella prestigiosa collana Biblioteca Adelphi, e la lista continua ad allungarsi.
Uno dei primi romanzi che ha segnato la ripresa di interesse per Simenon è questo Le finestre di fronte, edito nel 1985 in una nuova traduzione rispetto all’edizione mondadoriana del lontano 1934, (il cui titolo, con una traduzione più letterale di quella originale, era Quelli di fronte); dell’edizione Adelphi ho letto la versione, sicuramente più povera quanto a veste editoriale ma identica quanto a contenuto, stampata su licenza da Bompiani qualche anno dopo.
L’edizione originale di Le Gens d’en face risale all’autunno del 1933: Simenon pochi mesi prima ha compiuto un viaggio nel sud dell’URSS, soggiornando a Odessa, circumnavigando il Mar Nero e rientrando via Istanbul. Ha trovato una situazione nella quale la carestia, causata da fattori ambientali ma soprattutto dalle tragiche scelte di Stalin, ha ridotto buona parte della popolazione alla fame. Sono infatti gli anni della collettivizzazione forzata delle campagne, dell’annientamento dei kulaki in quanto classe deciso da Stalin; milioni di capi di bestiame sono stati abbattuti per non consegnarli allo Stato, i raccolti di grano dell’Ucraina e delle altre regioni cerealicole dell’URSS sono andati in gran parte perduti per la siccità e la disarticolazione del sistema produttivo. Soffrono soprattutto le popolazioni sud-occidentali dell’Unione Sovietica, tra cui quelle affacciate sul Mar Nero. Chiaramente Simenon non ha un quadro complessivo della situazione – la portata della carestia e le sue reali conseguenze si conosceranno solo negli anni della glasnost gorbachoviana – e neppure ne conosce compiutamente le cause, ma si trova di fronte ai segni tangibili di una tragedia, che descrive e interpreta sia con il reportage Peuples qui ont faim, che uscirà nel 1934, sia con questo romanzo. Continua a leggere “L’altra metà di Simenon”