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Il falso chierico prima del “Tradimento”

LOrdinazioneRecensione de L’ordinazione, di Julien Benda

Sellerio, La memoria, 1990

Il nome di Julien Benda non credo dica molto al lettore di oggi: del diluvio di scritti di questo autore francese di cui parla Gramsci non si trovano in libreria che alcuni saggi, tra i quali la sua opera sicuramente più importante, Il tradimento dei chierici, e questo quasi romanzo, edito moltissimi anni fa da Sellerio ma ancora facilmente reperibile.
Tra le molte ragioni che si possono addurre rispetto allo scarso interesse di cui oggi gode nel nostro paese uno degli intellettuali protagonisti del dibattito culturale francese, e non solo, tra le due guerre, vi è senza dubbio il fatto che gran parte della sua produzione, composta da articoli pubblicati sui quotidiani e sulle riviste dell’epoca, risulta strettamente legata al clima culturale dell’epoca e impregnata delle drammatiche divisioni che lo caratterizzavano: è forse quindi inevitabile che oggi ci vengano riproposte solo le sue opere più significative, che ci permettono comunque di conoscere il complesso (e per certi versi contraddittorio) pensiero di questo intellettuale e che conservano una qualche attualità.
Prima di addentrarci nelle sfaccettature di questo pensiero, esercizio necessario per comprendere un’opera scarna (aggettivo da non intendersi in senso negativo) e per certi versi enigmatica come L’ordinazione è però necessario citare qualche dato biografico dell’autore, da cui si possono trarre alcune informazioni che aiutano a comprendere meglio la personalità culturale di Benda.
Nato nel 1867 da una famiglia della borghesia ebraica, laica e repubblicana, Benda esordisce nell’ambiente culturale parigino ai tempi dell’affaire Dreyfus: prende attivamente parte al lacerante conflitto politico e sociale che oppone la società civile democratica alla reazione clerico-militarista e nazionalista, schierandosi decisamente dalla parte giusta. È da notare che è proprio in occasione di tale conflitto, che segnerà profondamente la società francese nei decenni successivi, che nasce ufficialmente il termine intellectuels, riferito agli uomini di cultura che parteciparono al dibattito prendendo le parti del capitano ingiustamente accusato di tradimento; il termine venne immediatamente utilizzato in senso denigratorio dalla parte avversa, ed assunse da allora la sua connotazione moderna.
Negli anni che precedono la prima guerra mondiale Benda si dedica prevalentemente a polemizzare con Bergson, la cui filosofia era molto di moda e avrebbe influenzato una parte importante della letteratura dell’epoca (si pensi alla Recherche proustiana), opponendo al suo intuizionismo ed antintellettualismo il mondo delle Idee e delle verità atemporali che costituiscono la base del sapere. Sulla stessa base condanna il romanticismo, non tanto come specifica corrente letteraria, ma come modo di intendere il mondo e il suo rapporto con esso. È a questo periodo che appartiene L’ordinazione (1911). Si delinea in quegli anni la concezione di Benda rispetto all’intellettuale e al suo ruolo nella società: egli è il depositario della verità, una verità che deriva dalla conoscenza, e deve sempre agire disinteressatamente al suo servizio ed a servizio della giustizia e della morale.
Nel 1927, in un mondo che vede il sorgere dei nazionalismi di destra, particolarmente forti anche in Francia, e l’affacciarsi delle dittature totalitarie, scrive il pamphlet Il tradimento dei chierici, che costituisce la prima opera letteraria dedicata espressamente al ruolo degli intellettuali nella società. Per Benda l’intellettuale è assimilabile al chierico che nel medioevo si ritirava dal mondo per perseguire gli ideali eterni della conoscenza e della verità, offrendo al mondo i suoi risultati in maniera disinteressata e pura. In quanto tale il chierico non partecipa alle passioni e ai sentimenti mondani, perché il suo reame non è di questo mondo. Quando il chierico interviene nella società è unicamente per difendere quegli ideali, come fecero Voltaire nel Trattato sulla tolleranza o Zola nell’affaire Dreyfus. Contrapposto al chierico è il laico, l’uomo d’azione, che agisce sulla base della passione politica, e che a quella sacrifica la verità e le argomentazioni, perseguendo i suoi scopi immediati e di parte, disprezzando l’arte e la scienza perché possono metterli in discussione. Per Benda viviamo un’epoca in cui coloro che dovrebbero essere chierici hanno tradito, abiurando la conoscenza e la verità per mettersi al servizio delle passioni e degli odi di parte, assumendosi il compito di giustificare intellettualmente la mistica dello stato, della razza o della classe, di fomentare l’odio di una parte contro l’altra. Profeticamente, Benda afferma che questo tradimento non potrà che portare ad una guerra distruttiva.
Negli anni successivi continua la polemica con il fascismo e con il nazionalismo, avvicinandosi sempre più al partito comunista, nonostante nel Tradimento avesse difeso il socialismo utopistico di Proudhon rispetto all’elaborazione marxiana, comprendendo anche la lotta di classe tra i mali da combattere. Dopo una fase di clandestinità quasi monastica durante l’occupazione, si oppone a qualsiasi atto di clemenza nei confronti dei collaborazionisti e continua ad essere un compagno di strada dei comunisti, che se devono uccidere, almeno lo fanno in nome degli oppressi. Muore nel 1956.
Una figura complessa, quindi, quella di Benda, come complessa è la sua opera. Non si può infatti non notare una apparente contraddizione tra il suo ideale di intellettuale depositario della verità, il chierico che non partecipa alle passioni del mondo, e il suo concreto essere un intellettuale impegnato, dai tempi di Dreyfus sino alla vicinanza al partito comunista. Questa contraddizione è però risolta dallo stesso Benda quando, come detto, giustifica gli interventi dell’intellettuale nelle contingenze e nelle polemiche politiche in nome del ristabilimento della verità. Come detto da un commentatore con una bella immagine, il chierico di Benda si ritira nella sua torre d’avorio, ma da quella postazione elevata può e deve mitragliare tutti coloro che tradiscono il principio di verità.
È evidente a mio avviso che questa posizione, pur così importante nella denuncia dell’asservimento degli intellettuali al potere e nell’analisi delle forme in cui tale asservimento si manifesta, sconta un vizio di fondo, dato dal pensiero che esista una verità assoluta ed atemporale che l’intellettuale deve difendere: proprio questa posizione che non tiene conto del ruolo storico dell’intellettuale sarà alla base delle importanti pagine dei Quaderni dal carcere che Gramsci dedicherà al confronto tra il pensiero di Benda e quello di Croce, da cui elaborerà i concetti di intellettuale tradizionale ed organico.
Veniamo a L’ordinazione, che come detto è un quasi romanzo del 1911, quindi scritto molti anni prima de Il tradimento dei chierici. Fatico a trovare una definizione per questo testo, che è qualcosa di diverso da una novella, essendo composto di due parti distinte e collegate, con caratteri letterari che lo discostano profondamente dal concetto stesso di novella, ma è anche diverso da un romanzo, sia per la sua brevità (un centinaio di pagine nell’edizione Sellerio) sia per la sua struttura narrativa. Si può dire che per come si presenta L’ordinazione è un testo nel quale il contenuto letterario, vale a dire il racconto di una storia, è del tutto funzionale alla esplicita volontà dell’autore di esporre le sue riflessioni in merito al contrasto tra i sentimenti e le idee, e nella sua forma letteraria le riflessioni prevalgono sulle scarne azioni. In questo senso L’ordinazione si inserisce appieno nel percorso di elaborazione culturale e filosofica di Benda e, soprattutto nella seconda parte, precorre e problematizza alcuni dei punti chiave relativi al significato ed alle conseguenze dell’essere intellettuale che ritroveremo, in altre forme e da una prospettiva in parte diversa, nel Tradimento.
Come detto L’ordinazione è composta di due parti, ognuna suddivisa in tre capitoli: nella prima, che le dà il nome, il protagonista, Félix, giovane colto, ama appassionatamente Madeleine, di estrazione piccolo-borghese, già sposata ad un uomo violento e con un figlio piccolo. Félix si annulla in quell’amore, abbandona gli amici e gli interessi culturali per stare accanto alla donna che adora. Un mattino, però, si rende conto che l’idea di rivederla non gli dà più il piacere assoluto di prima: egli non vuole accettare la diminuzione del suo amore, soprattutto perché si rende conto che Madeleine continua ad amarlo di un amore assoluto e che perderlo sarebbe per lei una ferita mortale. L’amore si trasforma però prima in compassione per la vittima e poi in fastidio per il suo attaccamento: Madeleine non tarda ad accorgersene e sarà lei a costringere Félix a lasciarla.
Nella seconda parte, intitolata La capitolazione, ritroviamo Félix più di dieci anni dopo. È sposato con Clémence ed ha una bambina, Suzanne. È molto felice, perché ha trovato la donna che ha rispettato il suo essere e le sue aspirazioni. Félix infatti sta scrivendo da un decennio un’opera filosofica mostruosa, unica, nella quale si propone di analizzare, a partire dal proprio pensiero, tutti i problemi filosofici fondamentali e dargli una soluzione definitiva. Lo sforzo intellettuale che compie richiede che egli si astragga da tutte le passioni umane, comprese quelle familiari, ed è grato alla moglie perché ha accettato un rapporto basato su un affetto distaccato. Per questo lavora di notte, per questo tiene le distanze dalla famiglia, non permettendo neppure alla moglie di entrare nel suo mondo di idee e neppure nel suo studio. Un giorno però la figlia sente un dolore all’anca, e col tempo diviene sempre più evidente che si tratta di coxalgia, una malattia degenerativa che porta alla zoppìa. Il mondo ideale di Felix, il suo distacco emotivo in funzione dell’elaborazione culturale, va progressivamente in frantumi, perché egli sente sempre più prepotentemente l’amore che prova per quel piccolo essere che è carne della sua carne e che è destinata ad una vita di emarginazione ed infelicità. Cerca di resistere, tentando di tornare al suo lavoro, ma alla fine, in una drammatica notte in cui si abbandona ad un pianto disperato, si arrende alle carezze consolatorie della moglie e capitola rispetto alla redazione della sua opera e al suo distacco dai sentimenti, salutando per l’ultima volta nel finale i filosofi e i monaci antichi ”… coloro […] che davvero si strapparono ad ogni amore umano e arsero per l’Idea.”
L’ordinazione ci parla quindi di un chierico, come si può intuire dal titolo. Félix tenta di esserlo ma non vi riesce: nella prima parte la sua aspirazione al distacco dal mondo non è evidente a prima vista, ed apparentemente la sua è semplicemente la storia della fine di un amore. Se analizziamo però bene retrospettivamente i brevi blocchi narrativi che caratterizzano la scrittura di Benda, entro i quali inserisce le sue considerazioni (il testo è scritto in terza persona ma riflette quasi esclusivamente i pensieri di Félix) ci accorgiamo che ciò che sostanzialmente Félix ama non è Madeleine, ma il suo amore per lei, la sua voglia di amarla nonostante non appartenga alla sua classe sociale, la sua compassione per le sue sofferenze: sin dalla prima pagina Benda ci dice che Félix … amava l’eleganza dell’amore più dell’amore stesso”, e poco più avanti: ”Scopriva l’incanto del compatimento” e ”Li legava soprattutto la religione del legame”. È, quindi, quello di Félix un amore per molti versi falso, che finisce per spaventarsi a morte di fronte all’amore vero di Madeleine, che proprio perché ama realmente ha la forza di ucciderlo quando è agonizzante.
All’inizio della seconda parte Félix è stato ordinato chierico, ed è rinchiuso nella torre del suo studio nonostante abbia una famiglia, intento a redigere l’Opera unica. Quando però l’amore vero irrompe, un amore viscerale nel vero senso della parola, del tutto irrazionale, a cui non può resistere, in breve tempo la sua fragile torre viene totalmente distrutta. Qui Benda pare assumere l’assoluta inconciliabilità tra attività intellettuale e passione, stigmatizzando ”L’arte che diventa «sentimento». La giustizia che diventa «amore». La morale che diventa «pietà»”, posizione che sembra essere pienamente coerente con la sua idea del necessario distacco dal mondo. Credo però che il pensiero di Benda sia più sottile: in fondo il Félix che capitola è molto più umano di quello che riceve l’ordinazione, e questo rivela che Félix non è un vero chierico, come non era stato un vero innamorato, ed ancora una volta la molla che lo spinge è il suo autocompiacimento di sentirsi tale. Persegue un isolamento assoluto, che non porta alla verità ma all’aridità (”Sono cose aride”, dice Félix alla moglie) del pensiero fine a sé stesso (tra l’altro mi pare di aver ravvisato una buona dose di bergsonismo negli obiettivi di conoscenza che Félix si pone con la sua opera e che l’autore ci elenca puntigliosamente) e che non potrà che crollare, analogamente a quanto era successo al suo amore per Madeleine, all’irrompere dell’amore vero.
L’ordinazione quindi a mio avviso può essere interpretato come un tassello della riflessione di Benda sugli intellettuali, nel quale egli ci avvisa che il loro distacco dal mondo non può tradursi in isolamento, e che coloro, come l’arido Félix, che confondono i due termini sono destinati a capitolare rispetto al loro ruolo. L’amore e l’umanità non sono quindi passioni che il vero chierico deve evitare, ma elementi fondanti il suo essere tale, come del resto insegna la stessa vicenda intellettuale di Benda.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

3 pensieri riguardo “Il falso chierico prima del “Tradimento”

  1. Riflessione sulla natura e sul ruolo degli intellettuali…..quale scottante attualità -e quale amara ironia, considerato appunto il fatto che il ruolo degli intellettuali è un tema che non si pone, cioè che i diretti interessati neppure avvertono che possa lontanamente riguardarli.
    Grazie per questa recensione e per le riflessioni che suscita- oltre che il desiderio di approfondire la questione del dibattito tra Brenda e Bergson.
    Un caro saluto

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    1. Ciao Dragoval e bentornata da queste parti.
      Eh si: Gramsci dimenticò una terza categoria, quella dell’intellettuale idiota, oggi nettamente maggioritaria.
      Come mai non scrivi più asterismi? I pochi che seguivo con piacere e interesse sono spariti (oltre a te anche Raffaele è fermo da marzo e Gabrilu scrive con discontinuità).

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