Recensione de La terra rossa, di W. H. Hudson
Adelphi, Gli Adelphi, 2007
William Henry Hudson non è uno scrittore molto conosciuto nel nostro Paese, anche se spulciando in rete si trovano alcune delle sue più significative opere edite nella nostra lingua e ancora disponibili. Tra queste vi è La terra rossa, cui Adelphi ha dedicato ben due edizioni.
Hudson è stato personaggio senza dubbio interessante. Nato nel 1841 in Argentina da genitori statunitensi, visse in America Latina sino al 1874, quando si stabilì in Inghilterra, dove morì nel 1922.
Intraprese la carriera letteraria in età matura, affiancandola a quella di ornitologo e botanico cui si era dedicato sin dagli anni sudamericani, con numerose pubblicazioni scientifiche su riviste inglesi. Più tardi scrisse opere di carattere divulgativo, tra le quali vanno ricordate Ornitologia dell’Argentina e Uccelli della Gran Bretagna, oltre a volumi di viaggio dedicati al countryside britannico. Il suo grande amore per il Sudamerica lo portò a scrivere alcuni romanzi dedicati alle terre della sua gioventù: tra questi i più noti sono Verdi dimore e La terra rossa. Quest’ultima è la sua prima opera letteraria, pubblicata originariamente nel 1885 e rivista, anche nel sottotitolo, nel 1904, per accentuarne il carattere romanzesco: è a questa versione che si rifà l’edizione italiana.
La terra rossa, come altre opere letterarie di Hudson, non è propriamente un romanzo. È il resoconto, in prima persona, del viaggio che un giovane inglese, Richard Lamb, compie nell’interno dell’Uruguay attorno al 1865, ed è infarcito di osservazioni sul paesaggio di queste terre allora di frontiera, la loro vegetazione e fauna, ma soprattutto sulle persone che le abitavano, il loro modo di pensare e di vivere, affatto diverso da quello europeo dell’epoca, il tutto sullo sfondo delle drammatiche vicende politiche che le segnavano in quegli anni. Ed è proprio da qui che è necessario partire per addentrarsi nei meandri di questa affascinante opera, al fine di comprendere il contesto che condiziona buona parte delle vicende che vi sono narrate.
L’Uruguay conquistò l’indipendenza nel 1828: in precedenza era stato un lembo di terra conteso tra spagnoli e portoghesi prima e tra Argentina e Brasile poi, subendo anche non poche interferenze da parte delle potenze europee, Gran Bretagna e Francia in primis.
La giovane repubblica, che recuperò il vecchio nome di Banda Orientál (ancora oggi il nome ufficiale dello Stato è República Oriental del Uruguay), si divise subito in due fazioni politiche, rappresentanti gli interessi inconciliabili delle classi sociali dominanti, e che si schieravano ora con l’uno ora con l’altro dei due potenti vicini e delle potenze europee: i blancos, conservatori, protezionisti e difensori degli intessi della proprietà terriera e dei valori della ruralità, tradizionalmente alleati degli argentini, e i colorados, espressione della borghesia mercantile delle città, quindi di tendenza liberale e liberista. Dopo aspre lotte politiche, nel 1839 scoppiò la guerra civile che ebbe il suo episodio emblematico nell’assedio di Montevideo, iniziato nel 1843: i blancos, appoggiati dall’Argentina, occuparono la quasi totalità del paese, eccetto la capitale, assediata per oltre otto anni, sino al 1851, quando il conflitto ebbe termine per l’intervento diretto nella regione di Francia e Gran Bretagna. Durante l’assedio assunse notevoli responsabilità militari Giuseppe Garibaldi, schierato con i colorados, che costruì qui il suo mito di eroe dei due mondi. L’accordo politico tra le due fazioni durò poco, e già alcuni anni dopo ripresero gli scontri e le rivolte, sempre fomentate anche da interessi esterni: nel periodo in cui è ambientata La terra rossa al governo sono i colorados, che hanno conquistato il potere con le armi nel 1863 sostenuti dal Brasile, e nelle campagne si susseguono tentativi di rivolta da parte dei blancos. Di lì a pochi anni i capi di entrambe le fazioni verranno assassinati nello stesso giorno e nel 1870 si giungerà ad un accordo di spartizione del potere.
In questo scenario, che viene sottolineato sin dalle prime pagine del libro, nelle quali è detto che a Montevideo tutti si aspettano la rivoluzione, si sviluppano le vicende di Richard Lamb, da lui stesso narrate ad anni di distanza.
È come detto un giovane inglese, e ha sposato da poco una bella e ricca ragazza argentina, Paquíta, contro la volontà dei genitori di lei. I due quindi fuggono a Montevideo, dove vanno ad abitare da una zia di lei. In cerca di lavoro, Richard parte a cavallo per una Estancia, azienda di allevamento estensivo del bestiame, nell’interno del paese. Quello che avrebbe dovuto essere un viaggio per trovare lavoro si trasforma in un viaggio di formazione di alcuni mesi, durante il quale Richard incontrerà varia umanità, confronterà la sua mentalità inglese, sia pure temperata dall’essere sudamericano di adozione, con quella dei rudi abitanti della campagna, rischierà il coinvolgimento in avventure sentimentali che metteranno a dura prova il suo amore per Paquíta e verrà direttamente coinvolto nelle drammatiche vicende del paese.
Molti sono gli episodi che si susseguono nei ventinove snelli capitoli in cui è suddivisa la storia e che meriterebbero di essere citati, per il loro esotismo e il loro essere avvincenti, per la sottile ironia che l’autore è in grado a tratti di dispiegare, ma soprattutto per il fatto che ciascuno è un tassello che contribuisce a costruire un unicum narrativo che come detto non può essere classificato propriamente come romanzo, essendo un riuscito mix di narrativa, guida di viaggio, saggio antropologico e naturalistico ed operetta morale.
La prima cosa che balza agli occhi è l’amore e la nostalgia che Hudson dimostra per la terra che descrive, la cui essenza, sia fisica sia sociale, in qualche modo contrappone all’Inghilterra. Come detto egli scrisse La terra rossa nel 1885, quando ormai da oltre 10 anni aveva lasciato il Sudamerica, e il ricordo di quegli spazi, di quello stile di vita traspare da ogni pagina. Già nel titolo originale dell’opera, che compiutamente suonava La terra rossa che l’Inghilterra ha perduto si riscontra immediatamente tale componente nostalgica. Il titolo, per inciso, faceva riferimento alla breve conquista di Montevideo da parte degli inglesi nel 1807 e alla loro rapida ritirata: fu cambiato da Hudson nell’edizione del 1904 nel più prosaico e prolisso The Purple Land, Being One Richard Lamb’s Adventures in the Banda Orientál, in South America, as told by Himself – con qualche ammiccamento forse al romanzo di avventure esotiche per eccellenza della letteratura britannica, il Robinson Crusoe – al fine di sottolineare il contenuto letterario di un’opera che era stata classificata come una guida di viaggio, avendo scarsi riscontri di vendite.
Il rapporto tra la civiltà britannica ed occidentale in genere e la vita nella primitiva Banda Orientál è come detto il tema portante dell’opera, ed il fatto che l’atteggiamento del protagonista rispetto a ciò cambi drasticamente in seguito alle sue esperienze può far classificare questo poliedrico libro anche come un eccentrico bildungsroman con protagonista un wanderer postromantico. Prima di partire per il suo viaggio, infatti, Richard sale emblematicamente sul Cerro, il colle che domina Montevideo, e da lì manda un’invettiva contro quelle terre, che si sono sottratte all’azione civilizzatrice della croce di San Giorgio per essere lasciate nelle indegne mani degli indigeni. Quindi nel corso delle sue avventure, in due distinti episodi, Richard incontra alcuni conterranei che sono venuti a vivere in Uruguay. Dapprima si imbatte in una colonia di gentiluomini inglesi, un gruppo di giovani spiantati di buona famiglia che vivono in un piccolo insediamento non facendo altro che bere e fumare, assolutamente incapaci di ricavare alcunché dalla terra e che hanno tuttavia mantenuto il senso della loro superiorità rispetto alla terra che li ospita e alle persone che vi abitano. Lo scrittore usa tutta la sua ironia per descrivere quanto gretti, scioperati e inetti siano questi conterranei del protagonista, che infatti non tarderà a lasciare ai loro bagordi ed improbabili cacce alla volpe. Più avanti nel libro, quando ormai Richard Lamb ha conosciuto a fondo il paese, verrà ospitato con affetto da una famigliola, composta da uno scozzese con moglie indigena e sei figlioli, che vive secondo le regole della natura, avendo rifiutato tutte le convenzioni del suo passato ad Edimburgo e crescendo i figli in libertà e sporcizia. Il capitolo si chiude con una lunga accusa alla civiltà, all’ipocrisia delle sue convenzioni e con un inno alla vicinanza alla natura ormai perduta.
Nelle ultime pagine, prima di lasciare Montevideo, Richard sale ancora sul Cerro, ma questa volta per tirare le fila delle sue esperienze e per contrapporre definitivamente i disvalori della civiltà ai valori di una società come quella della Banda, basata su rapporti umani veri, che proprio perché veri possono includere anche il delitto e il sangue. Per la verità queste entusiastiche considerazioni finali peccano non poco di ingenuità quando l’autore afferma che in tale società non esiste l’odio di classe, visto come portato della vita irreggimentata delle società industriali, e che ”qui il padrone di molte leghe di terra e di innumerevoli mandrie siede nel suo rancho annerito dal fumo e chiacchiera col suo pastore, un povero individuo scalzo al suo servizio, e nessuna differenza di classe o di casta li divide, nessuna coscienza delle loro posizioni così diverse intiepidisce la calda corrente di simpatia tra due cuori umani”. Qui si scopre anche l’animo fortemente liberale di Hudson, che si lancia in una intemerata contro lo Stato onnipresente capace di far sdilinquire un bocconiano dei giorni nostri, e che per la verità sembra contrastare non poco con la simpatia per i conservatori blancos che egli manifesta apertamente.
Hudson non risparmia comunque la sua ironia anche nei confronti di una certa tendenza alla furbizia e alla inconcludenza latina, come emerge in molti episodi e in particolare nel gustoso episodio della prolissa storia di Manuel, detto anche La Volpe, narrata dall’ineffabile zio Anselmo.
Anche il protagonista, nel quale è facile vedere un alter ego dello scrittore, è a volte preso di mira dallo stesso Hudson, che lo fa apparire del tutto inadeguato a gestire alcune situazioni, soprattutto in campo sentimentale, il che lo rende al lettore molto umano. In questo senso significativo è l’episodio dell’amore da lui suscitato nella bella Dolores, rispetto al quale è combattuto tra il gusto dell’avventura galante e la fedeltà alla giovane moglie, senza avere il coraggio di svelare alla donna di essere già sposato. I personaggi femminili sono forse quelli più forti del libro, in particolare Dolores e Demetria, l’esponente della antica e nobile famiglia Peralta che ha un ruolo importante nelle ultime avventure di Richard, ma anche quelli di altre ragazze e mogli che incontra nel suo viaggio: in genere si tratta di donne libere, dal carattere forte, vere padrone di casa anche nei confronti di mariti machi e con atteggiamenti non convenzionali, quasi a testimonianza di una certo grado di matriarcalità di questa società ancestrale.
Proprio il personaggio di Dolores fa da trait-d’union tra le vicende private di Richard e quelle legate alla situazione politica dell’Uruguay. Richard è infatti coinvolto nel tentativo d’insurrezione suscitato dal Generale Santa Coloma, un blanco a lungo esiliato che torna nel paese per rovesciare il governo, e partecipa allo scontro decisivo con i governativi, la battaglia di San Paulo. Hudson ha dato all’eroe blanco il nome di un generale argentino già morto all’epoca dei fatti narrati, e non risulta che vi sia stata veramente una battaglia di San Paulo, ma è certo che quel periodo fosse caratterizzato da numerosi tentativi di insurrezione da parte dei blancos, più o meno efficaci e comunque repressi con crudeltà.
Il personaggio di Santa Coloma è sicuramente quello che Hudson tratteggia in modo più romantico, anche probabilmente ad uso dei suoi lettori. Coraggioso ed indomito, capace di mille travestimenti, con nel cuore il segreto di un amore spezzato, egli è il perfetto epigono dell’eroe senza macchia e senza paura, e sarà in qualche modo il deus ex machina della conclusione della complicata vicenda di Doña Demetria Peralta.
Un altro tratto che merita di essere sottolineato di quest’opera sono le storie che vari personaggi raccontano durante il loro incontro con Richard, oppure che lui stesso narra ad altri. Si tratta di episodi buffi, come il già citato racconto di Manuel detto la Volpe, di tenere fiabe, come quelle che Richard racconta ad alcuni dei bambini che incontra, di storie di fantasmi e di animali fantastici narrate la sera davanti al fuoco da rudi mandriani. Questi inserti, come le accurate ma poetiche descrizioni di animali e piante che si ritrovano in vari capitoli, contribuiscono ad arricchire il testo e a renderlo un unicum poliedrico e indefinibile che sicuramente può affascinare varie categorie di lettori.
Se La terra rossa (il cui titolo è dato non solo dal colore naturale dei suoli delle pianure uruguaiane, ma anche dal fatto che all’epoca era una terra intrisa di sangue) è un libro certamente figlio del suo tempo, nel quale alla fiducia nel progresso corrispondeva anche la necessità della scoperta di un mondo che si faceva sempre più piccolo e la voglia di sognare terre esotiche e selvagge da parte di un pubblico sempre più vasto, è anche vero che la prospettiva da cui Hudson guarda a queste terre non è di tipo coloniale: la presa di coscienza di Richard si basa sulla possibilità che ambienti sociali e fisici come quelli descritti offrono di condurre una vita più prossima alla natura, e questo al naturalista ed ecologo ante litteram Hudson interessava molto. Al netto di alcune ingenuità politiche e di alcune forzature ad uso commerciale La terra rossa, pur non essendo un capolavoro, offre lo spaccato di una terra lontana nello spazio e nel tempo, nella quale il lettore odierno può perdersi volentieri, pensando che praticamente nulla di ciò è probabilmente rimasto, nel bene e nel male, nella Banda Orientál, tranne i Blancos e i Colorados, che hanno trovato nel XX secolo nuovi padroni cui vendersi e che solo da pochi anni sono stati finalmente estromessi dal potere (ma sino a quando?)