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Prima della Factory: l’alba della mercificazione del sesso

Recensione de Gli inquilini di Dirt Street, di Derek Raymond

Meridiano zero, Meridianonero, 2005

Con Gli inquilini di Dirt street ho fatto un salto indietro di oltre una dozzina d’anni nella produzione letteraria di Derek Raymond rispetto ad Aprile è il più crudele dei mesi – la sua opera da me precedentemente letta – approdando nel 1971, quando in realtà Derek Raymond non era ancora nato e l’autore si firmava con il suo vero nome di Robin Cook.
La distanza tra i due romanzi, che come vedremo è profonda, non si risolve tuttavia nel mero dato temporale o in quello per certi versi simbolico che siano firmati con nomi diversi, ma è pienamente comprensibile solo se si riflette sui profondi cambiamenti cui era andata incontro la società inglese – ed in generale quella occidentale – in quel cruciale lasso di tempo, che vide una autentica cesura culturale e politica separare gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso dal decennio successivo.
Gli inquilini di Dirt street rappresenta l’ultima opera letteraria del primo Derek Raymond, quello che appunto non utilizzava ancora lo pseudonimo che lo avrebbe reso celebre. Negli anni che vanno dal 1962 al 1971 scrisse sei romanzi, dei quali il primo, The Crust on Its Uppers – che narra della discesa di un aristocratico negli inferi degli ambienti criminali della Londra del tempo – caratterizzato da una prosa che fa uso di uno slang duro e diretto, gli conferì successo di critica ma non di pubblico. Nelle opere successive si cimentò con tematiche distopiche e satiriche, e gli ultimi due romanzi di questo periodo hanno come sfondo la nascente industria del sesso, che aveva nel quartiere londinese di Soho il suo quartier generale. Sono tutti romanzi che, se non si possono definire propriamente autobiografici, traggono ispirazione dalle esperienze di vita dell’autore, che ricordiamo proveniva dalla classe agiata, da cui si distaccò presto per condurre una vita irregolare nella quale viaggiò molto ed esercitò mille mestieri, lambendo anche il mondo della malavita.
Protagonista de Gli inquilini di Dirt street è Johnny Eylau, rampollo quarantenne di una famiglia di antica nobiltà di origine mitteleuropea, ormai decaduta. Un padre suicida quando era ragazzo ed una madre che non gli ha mai dato un penny, Johnny è ormai sull’orlo dell’alcolismo e vive di lavori precari, ai margini della swinging London. Quando un giorno – a seguito della fine di una importante relazione – crolla, ubriaco fradicio, nella chiesa della parrocchia dell’antica proprietà di famiglia, da tempo venduta, viene soccorso dal vicario, Dick Aynsham, che lo invita a pranzo. Aynsham è sposato da diciotto anni con una donna cieca, Helen, ed ha due figli adolescenti che si stanno rapidamente incamminando sulla strada della droga e del teppismo urbano.
Tra Johnny ed Helen scocca immediatamente la scintilla, tanto che già nel pomeriggio, mentre il buon Dick riposa, i due fanno l’amore, o meglio scopano. Helen, sessualmente vorace, chiede a Johnny di portarla via da un marito pressoché impotente, che non la tocca da anni: vuole però anche fare una bella vita, e pretende che Johnny abbia almeno mille sterline prima di scappare con lui.
Entrano quindi in scena due personaggi che erano già comparsi nel precedente romanzo dell’autore, Atti privati in luoghi pubblici: Lord Michael Mendip e Viper (sic!) sono anch’essi rampolli della upper class: compagni di college di Eylau ad Eton, fanno affari d’oro nella nascente industria del sesso. Se in Atti privati in luoghi pubblici gestivano alcuni sexy shop, ora troviamo Viper, la mente imprenditoriale dei due, a capo della Amalgamated vices ltd. e di altre società che gestiscono numerosi bordelli tematici in tutta la Gran Bretagna, nei quali i servizi offerti sono ambientati in contesti storici od evocativi. Ora Viper intende aprirne un altro, Le petit Trianon, ambientato ai tempi di Luigi XVI e della rivoluzione francese, ed è alla ricerca del direttore, che dovrebbe interpretare il re e condurre la messinscena in costume in cui verranno coinvolti i clienti.
Viper offre il posto di lavoro a Johnny Eylau, che ha appena contattato il suo socio per chiedergli il prestito necessario a far sua Helen. Lo stipendio sarebbe molto buono, e Johnny supera le sue remore morali quando Helen si dichiara entusiasta della possibilità di lavorare nello stesso bordello interpretando Maria Antonietta; abbandona marito e figli per stare con Johnny ed i due vengono adeguatamente formati dalla Amalgamated vices ltd., entrando presto in servizio.
Il vicario, marito di Helen, sconvolto dall’essere stato lasciato dalla moglie e dal tradimento di chi considerava un amico, si rifugia nell’alcool e, sospeso dal vescovo, diviene un clochard e predicatore di strada.
Helen, vero animale sessuale, si rivela perfetta sul lavoro, anche troppo, tanto che Johnny è sempre più geloso delle sue performance, che interpreta con uno slancio che va oltre la semplice professionalità. La vicenda quindi si complica, tingendosi anche di momenti drammatici, sino a giungere ad una ironica conclusione.
Gli inquilini di Dirt Street è come detto senza dubbio un romanzo che prende le mosse da elementi autobiografici: non è infatti difficile riconoscere nel protagonista, nobile decaduto e ribelle che vive ai margini della società, tratti dell’esperienza esistenziale dell’autore. È però innanzitutto e senza dubbio un romanzo figlio del suo tempo, di quell’atmosfera di rottura dei tabù, in particolare sessuali, che ha caratterizzato la fine degli anni ‘60 e l’inizio del decennio successivo. Infatti il suo filo conduttore è proprio il sesso, visto come elemento che determina i comportamenti individuali e come fattore che condiziona i rapporti sociali e, proprio per ciò, può assumere una notevole importanza economica. Quindi Raymond presenta al lettore varie sfaccettature del rapporto tra gli individui e il sesso e del ruolo che quest’ultimo gioca nella società. Vediamo quelli che ritengo più importanti nell’economia del romanzo.
Nella famiglia tradizionale dell’upper class da cui proviene il protagonista il sesso semplicemente non esiste: l’autore non manca di farci sapere che tra il padre e la madre di Johnny non vi sono di fatto mai stati rapporti se non a meri fini riproduttivi. Il suo giudizio su quel mondo senza sesso e senza amore, che deve essere stato quello della sua infanzia, è spietato: la madre è una tiranna che si ritiene eletta per nascita e non ha mai aiutato il figlio in difficoltà, il padre un inetto disertore che ha finito per suicidarsi.
Ancora più forte il ruolo che il sesso, o meglio la sua mancanza, gioca nella famiglia del reverendo Aynsham e di Helen. Aynsham è di fatto impotente, e da anni si è rifugiato in pratiche masturbatorie; nella sua stupidità crede che questa mancanza possa essere surrogata, nel rapporto con la moglie, da una dolcezza formale e sottomessa: elabora il suo senso di colpa accettando masochisticamente di essere lo zimbello di moglie e figli e non rendendosi conto delle necessità di lei. Anche in questo caso quindi il matrimonio è visto dall’autore come la negazione di un vero rapporto interpersonale, come il luogo di un rifugio apparentemente sicuro ma nel quale le oggettive contraddizioni strutturali sono destinate a scoppiare. A differenza della madre di Johnny, Helen – forse il personaggio più riuscito del romanzo – non è però ingessata in convenzioni sociali che non può e non vuole rompere. Il suo essere cieca, che è stata la causa del suo essere caduta nella trappola del matrimonio, le dà anche la possibilità di far esplodere la sua carica animale, di rompere la gabbia in cui vive alla prima occasione utile, lanciandosi come una predestinata in un mondo in cui il sesso è non solo lo strumento del piacere fisico, ma anche quello del benessere economico. Il percorso di Helen da madre di famiglia a prostituta è di fatto quello della sua realizzazione, una sorta di redenzione rovesciata, che troverà pieno compimento nel finale del romanzo.
Un personaggio ben caratterizzato, anche se a tratti si percepiscono i segni di una forzatura quasi caricaturale, è quello di suo marito, i cui vizi privati, come pure il modo in cui interpreta il suo ruolo di sacerdote, lo rendono molto umano, al pari della sua sostanziale idiozia.
Anche altri personaggi minori sono caratterizzati essenzialmente per il loro rapporto con il sesso: Lord Mendip, il socio di Viper, è omosessuale, e il suo rapporto con il fidanzato francese Philippe è piuttosto complesso, mentre l’ultima fidanzata di Johnny era solita portarsi a letto gruppi di operai per sentirsi più vicina al proletariato.
Ma il sesso è, nella Londra degli anni ‘60, oltre che un fattore che può mettere in discussione i fondamenti di una società sino ad allora apparentemente cristallizzata nelle sue convenzioni, anche una potenziale notevole fonte di profitto. Viper è il capitalista che ha capito quanto bisogno di sesso vi sia nella società, ed ha investito per soddisfare questo bisogno. A dispetto delle ipocrite crociate organizzate contro le sue società da associazioni moraliste, è perfettamente conscio che il ramo d’affari non è né migliore né peggiore degli altri, anzi, a differenza ad esempio delle compagnie petrolifere ”non estorce denaro, non ricatta né uccide nessuno”. La Amalgamated vices è di fatto il prototipo della trasposizione letteraria di un fenomeno che avrebbe nel corso dei decenni successivi assunto proporzioni sempre più importanti sia a livello economico sia a livello sociale, fino a giungere a compimento nell’era di internet: lo sdoganamento del sesso e della sua rappresentazione e la loro trasformazione in industria dell’intrattenimento.
Negli anni in cui Derek Raymond scrive Gli inquilini di Dirt Street questo processo è di fatto agli albori. La pornografia, le forme della rappresentazione più o meno esplicita di atti sessuali attraverso il disegno, la fotografia e il cinema, che sino ad allora hanno costituito un mercato ancora di nicchia, rivolto ad un ristretto pubblico di cultori del genere, si avvia a diventare una forma di intrattenimento sempre più diffusa ed accettata. Due sono a mio avviso i fattori che contribuiscono a questa evoluzione. Da un lato i movimenti di liberazione di quegli anni, compresi quelli femminili, che soprattutto nelle società anglosassoni per un certo periodo videro nella pornografia uno strumento per affermare il diritto dell’individuo alla propria libertà sessuale. Dall’altro la grande intuizione del potere costituito che, dopo secoli in cui aveva osteggiato sino a tabuizzare ogni rappresentazione inerente la sfera sessuale, temendone il potere eversivo rispetto all’ordine necessario a cristallizzare i rapporti sociali, capisce che il sesso e la sua rappresentazione possono, se sapientemente dosati ed incanalati, diventare un potentissimo strumento di ottundimento dell’individuo, un’offerta ad alto contenuto adrenalinico da affiancare allo sport e ad altre forme di intrattenimento di massa o individuale. Cessa così rapidamente – significativamente per prime nelle società a più elevato tasso di liberalismo – l’ostracismo nei confronti della pornografia, che si trasforma come detto in pochi anni in una vera e propria industria la cui espansione non ha ancora conosciuto soste, e che oggi a mio avviso aspira a chiudere il cerchio, inducendo il fruitore a sostituire l’atto sessuale, medium di pericolose relazioni interpersonali che presuppongono scambio di idee e confronto, con la sua virtualizzazione.
Il romanzo di Raymond segnala l’ambivalenza della mutazione in atto – anche probabilmente a partire dalla diretta esperienza dell’autore nel settore – sia nelle pagine dedicate alla descrizione della Amalgamated vices come azienda del tutto coerente con la morale capitalistica del profitto, sia nella descrizione più che esplicita, direi schiettamente pornografica, del primo rapporto sessuale tra Johnny e Helen. A mio avviso le modalità con le quali Raymond descrive l’incontro, i particolari in cui entra e gli stessi termini impiegati possono apparire eccessivi e non necessari, pur in un romanzo che parla essenzialmente di sesso, se non si tiene conto del particolare contesto in cui esso è stato scritto e della conseguente necessità dell’autore di scivolare nella pornografia, per affermare come la sua scrittura intercetti lo spirito del tempo ma anche e forse soprattutto per rendere il romanzo commercialmente maggiormente appetibile, in questo senso perfettamente funzionale alla crescente tendenza alla mercificazione del sesso come rappresentazione.
Se dunque Gli inquilini di Dirt Street tratta tematiche importanti, che possono far riflettere il lettore di oggi rispetto alla loro evoluzione e al ruolo che la pornografia ha assunto nella società, ruolo che ha cominciato a mutare significativamente proprio negli anni in cui il romanzo è stato scritto, resta da dire che tuttavia a mio avviso tali tematiche vengono trattate da uno scrittore che evidenzia tutti i suoi limiti in termini di brillantezza e continuità della prosa. Ho ritrovato in Derek Raymond la stessa scarsa capacità di gestire la pagina evidenziata da un altro grande minore della letteratura che si è ricavato una notorietà di culto a partire dal genere: Philip K. Dick. Come in Dick, sia pure a dire il vero con esiti meno catastrofici, anche nel Raymond ante Factory vi sono indubbiamente pagine asciutte, fatte di dialoghi diretti secchi e precisi, che però si alternano ad altre nelle quali gli stessi dialoghi divengono inutilmente prolissi o vengono sostituiti da lunghe elucubrazioni dei personaggi, non ben risolte a livello letterario: si veda ad esempio il capitolo in cui Viper riflette sul suo impero che, pur essendo come detto importante nell’economia del romanzo, non brilla certo per vivacità, oppure alcuni dei racconti della gioventù del protagonista, che si ha la sensazione siano stati scritti al solo scopo di accentuare il carattere scandaloso del romanzo.
La lettura di questo romanzo della prima fase di Derek Raymond, scritto molti anni prima della serie noir che lo avrebbe reso celebre, permette in definitiva di verificare come nei suoi romanzi egli cerchi di trasferire alcuni degli elementi caratterizzanti la fase sociale in cui e di cui scrive; tuttavia, a mio avviso, il talento letterario che lo sorregge non basta a permettergli di scrivere grandi libri. Il romanzo ha comunque il pregio di essere per molti versi più originale e meno costretto negli angusti sentieri del genere noir che avrebbero segnato a mio avviso negativamente la celebrata serie della Factory.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

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