Recensione de Il piccolo libraio di Archangelsk, di Georges Simenon
Adelphi, Biblioteca, 2007
In attesa di incontrare il commissario Maigret, Il piccolo libraio di Archangelsk rappresenta la quarta tappa del mio percorso di lettura di alcune delle opere di Georges Simenon, e questo breve romanzo non fa che aggiungere un altro tassello all’idea che mi sto formando di uno scrittore fortemente discontinuo quanto a qualità delle sue opere. Se infatti Betty, il primo romanzo di questa piccola e personale serie di letture, mi era parso un romanzo molto interessante e intrigante, che esplorava tematiche scabrose addirittura in anticipo rispetto ai tempi, nelle successive due opere, Cargo e Il clan dei Mahé, avevo ravvisato parecchie lacune, sia formali sia sostanziali, che mi avevano portato ad attribuire loro un giudizio sostanzialmente negativo, come di romanzi in qualche modo datati e superficiali. Questo romanzo rappresenta invece, a mio avviso, un esempio di notevole opera letteraria, nella quale Simenon riesce innanzitutto a creare un personaggio difficile da dimenticare nella sua ingenua complessità, ed anche ad amalgamare con efficacia ingredienti tipici della sua produzione, che altrove non era riuscito a dosare con equilibrio. Probabilmente l’incapacità dell’autore di mantenere uno standard qualitativo omogeneo è il risultato dell’ipertrofia della sua scrittura, dalla necessità, non so quanto esistenziale e quanto commerciale, di scrivere a getto continuo (almeno nei brevi intervalli tra un rapporto sessuale e l’altro…), il che probabilmente non ha favorito una attenta selezione dei temi trattati nelle singole opere e del loro sviluppo letterario.
C’è un altro dato che pare emergere da queste mie letture simenoniane. I due romanzi a mio avviso più importanti, questo e Betty, furono scritti dall’autore quando aveva già oltrepassato la soglia dei cinquant’anni (rispettivamente nel 1956 e nel 1960): potrebbe quindi essere che la maturità anagrafica abbia portato con sé anche una maggiore maturità artistica ed analitica, come spesso accade. In realtà questo assunto andrebbe verificato attraverso ulteriori letture di opere dell’autore, perché il giudizio che ricavai, alcuni anni fa, dalla lettura de Le finestre di fronte fu quello di un’opera notevole, di un bel romanzo scritto quando l’autore era poco più che trentenne, e ciò sembrerebbe contraddire l’ipotesi qui avanzata.
Il piccolo libraio di Archangelsk sembra in superficie non discostarsi molto dalla tematica su cui in via principale Simenon sembra basare la sua aspirazione al roman total, sulla quale sono incentrati i due romanzi di Simenon da me letti in precedenza: la profonda crisi in cui entra un uomo a causa del suo rapporto con una donna, che condurrà ad esiti drammatici. Numerosi sono però gli elementi che in questo caso arricchiscono e rendono complesso questo leitmotiv caro all’autore, facendo come detto del romanzo un’opera di un qualche significato nel panorama letterario della seconda metà del XX secolo. Su tutti il più importante a mio avviso è dato dal fatto che mentre negli altri casi il contesto in cui il dramma esistenziale dei protagonisti si svolgeva era di fatto scollato da quest’ultimo, rappresentandone quasi solo una quinta posticcia o confusa, ne Il piccolo libraio di Archangelsk il contesto sociale nel quale si svolge la vicenda ne è in larga parte la causa, e ciò trasforma le storie eminentemente private di quei romanzi in una vicenda dai forti connotati politici.
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