Recensione de La donna di garbo, La vedova scaltra, La putta onorata, di Carlo Goldoni
Mursia, GUM, 2005
Commentando la lettura delle opere di altri autori di teatro, quali Molière e Pinter, ho accennato alle difficoltà di comprensione e di interpretazione legate alla riduzione letteraria di testi nati per essere rappresentati sulla scena. In generale, infatti, la semplice lettura di un testo teatrale riduce in modo drastico i gradi di libertà che lo caratterizzano, dati dall’apporto specifico che gli forniscono la regia e l’interpretazione attoriale.
Questo limite invalicabile del teatro scritto è ancora più evidente quando si affrontino i testi di un autore come Carlo Goldoni. Se infatti è vero che egli fu l’artefice di una riforma del teatro italiano che – prendendo le distanze dalla tradizione della commedia dell’arte – esigeva che le opere teatrali fossero interamente scritte e non basate su semplici canovacci lasciati alle capacità di improvvisazione degli attori, è altresì vero che pose a fondamento di tale riforma due elementi essenziali: il mondo, ovvero l’osservazione della realtà, della natura, ed il teatro, ovvero la capacità dell’autore di trasporre tale osservazione nelle forme che il teatro esige, fatte di una serie di elementi di cui il testo scritto è solo una parte.
Ciò diviene particolarmente evidente leggendo le commedie scritte da Goldoni in dialetto veneziano, che – diversamente da quanto si crede comunemente – non sono moltissime rispetto alla sua copiosa produzione. Soprattutto per chi non è veneto, leggere questi testi non è semplice, per ovvi motivi: eppure a teatro, se la messa in scena è di qualità, essi risultano comprensibilissimi, perché un bravo regista e dei buoni attori sono in grado di spiegarli attraverso il ritmo dei dialoghi, la corporeità, l’accento onomatopeico che li accompagnano; si pensi del resto, in proposito anche alle opere di altri grandi autori dialettali italiani, a partire da Eduardo De Filippo. È comunque chiaro che anche le commedie in lingua di un autore tutto teatrale come Goldoni perdono non poco quando siano semplicemente lette.
Proprio il fatto di essere un autore teatrale, per di più di un teatro popolare fece di Goldoni un minore per la critica letteraria italiana a cavallo tra ‘800 e ‘900. Se non stupisce che l’idealismo crociano abbia visto in Goldoni un autore che ”alla poesia propriamente detta non si innalza”, più perplessi può lasciare il giudizio riduttivo che ne dà un intellettuale come De Sanctis, il quale, pur riconoscendo il valore del realismo goldoniano, lo accusa di grossolanità e volgarità e conclude negando importanza alla sua pretesa di riforma del teatro. Una significativa breccia in questo muro critico, tipico di un’epoca e di un ambiente culturale nei quali la borghesia dominante ha ormai necessità di rinnegare le basi stesse della sua primigenia costruzione sovrastrutturale, viene aperta non a caso da Antonio Gramsci, che in un frammento dei Quaderni dal carcere si chiede: ”Perché il Goldoni è popolare anche oggi? Goldoni è quasi “unico” nella tradizione letteraria italiana. I suoi atteggiamenti ideologici: democratico prima di aver letto Rousseau e della Rivoluzione francese. Contenuto popolare delle sue commedie: lingua popolare nella sua espressione, mordace critica dell’aristocrazia corrotta e imputridita.”
Oggi, con buona pace di Croce e De Sanctis, Goldoni occupa il posto che gli spetta nella storia della letteratura e del teatro italiani, soprattutto dopo le storiche regie di Giorgio Strehler nella seconda metà del secolo scorso.
Le mie recenti letture goldoniane hanno riguardato complessivamente sei commedie, raccolte in due volumi editi anni fa da Mursia. Loro caratteristica importante è che i due volumi rappresentano due epoche affatto diverse della produzione goldoniana. Mentre il primo presenta le prime commedie di carattere scritte per intero da Goldoni, che si collocano quindi agli albori della sua riforma, il secondo contiene la famosa Trilogia della villeggiatura, pietra miliare dell’ultima produzione veneziana dell’autore, nonché uno dei suoi capolavori assoluti. Mi è stato così possibile scandagliare, sia pur parzialmente, l’evoluzione del pensiero, della poetica e del modo stesso di far teatro di questo fondamentale autore.
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