Recensione di Incontri, di Robert Musil
Einaudi, Nuovi Coralli, 1996
Non è affatto facile, soprattutto per un dilettante quale sono, dire qualcosa di sensato in merito ai due racconti che compongono Incontri, da me letto nella classica edizione Einaudi ma oggi reso disponibile in libreria da un’altra casa editrice con una nuova traduzione.
Non è facile innanzitutto per la complessità dei due racconti, che in poco più di cento pagine dispiegano una prosa che come una schiuma si insinua e si espande a riempire di sensazioni e di percezioni interiori delle due protagoniste i grandi vuoti che si aprono tra i pochi fatti che accadono, rendendo necessaria una lettura attenta ed estremamente concentrata del testo; non è facile inoltre in quanto, anche laddove si sia interiorizzata la prosa di Musil, una analisi plausibile di questi due racconti non è praticamente possibile senza la conoscenza puntuale dell’orizzonte culturale, filosofico ed anche scientifico entro il quale lo scrittore austriaco si muoveva. Se questo è vero in generale per ogni opera d’arte, è però anche vero che in molti casi l’opera si propone al fruitore per così dire nella sua nudità, e può essere apprezzata e compresa a vari livelli, a seconda della sua sensibilità e dei suoi interessi. Tipicamente ciò accade con il grande romanzo borghese di stampo realista: Robinson Crusoe, tanto per portare un esempio che vada alle origini, è innanzitutto una grande e avvincente storia avventurosa, che può essere letta ed apprezzata come tale anche senza riflettere esplicitamente sul fatto che il protagonista rappresenta il prototipo dell’homo faber in grado di reagire contro le avversità, di piegare alle sue esigenze la natura selvaggia, di utilizzare esseri umani inferiori per la propria sopravvivenza.
Nella sua opera oggettivamente necessaria di demolizione di questo modello di romanzo, la grande letteratura del primo ‘900, la letteratura della crisi, non solo riduce definitivamente a macerie il dogma delle tre unità aristoteliche, la cui distruzione era per la verità iniziata molto prima, ma ne annulla le componenti, scoprendo che un’opera letteraria può non contenere alcuna azione, né riferirsi ad alcun tempo o spazio. L’irrompere sulla scena della psicanalisi e dell’inconscio, le nuove scoperte della fisica, da Bohr ad Einstein sino al principio di indeterminatezza di Heisenberg, stavano mandando definitivamente in soffitta gli stessi assunti scientifici su cui si era basato il meccanicismo positivista di stampo ottocentesco, dopo che l’evoluzione dei rapporti sociali ne aveva messo in crisi gli assunti ideologici. Vale la pena riportare una frase di Werner Heisenberg, ripresa da un manoscritto del 1942 chiamato significativamente Ordinamento della realtà, per avere l’idea della portata rivoluzionaria che le teorie fisiche sviluppate negli primi decenni del ‘900, ancora oggi costituenti la base delle ricerche in tale ambito, hanno avuto sulle certezze che avevano governato il mondo e il comune sentire da oltre due secoli. Dice Heisenberg:
”Nell’ambito della realtà le cui condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere […] è piuttosto rimesso al gioco del caso.” È evidente l’importanza epistemologica ma più in generale culturale di una tale affermazione che, sia pure molto successiva ad essi, potrebbe essere messa in esergo ai due racconti che compongono Incontri, in modo particolare al primo.
Robert Musil è forse lo scrittore della prima metà del ‘900 nella cui opera più si intrecciano tematiche derivate da conoscenze di ordine filosofico e scientifico, essendo ciò emblematicamente rappresentato dalle sue due lauree, in ingegneria e filosofia. Figlio della media borghesia austriaca, si laureò infatti in ingegneria nel 1901, quindi a Berlino nel 1908 in filosofia, con una tesi su Ernst Mach, fondatore dell’empiriocriticismo. Due anni prima aveva pubblicato il suo primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless, con ottimi riscontri da parte della critica. La sua produzione letteraria, interrotta anche dalla guerra, fu molto discontinua: oltre ad alcuni saggi e ai diari, pubblicati postumi, scrisse alcuni racconti, raccolti nei volumi Incontri (1911) e Tre donne (1924) ed un paio di opere teatrali: dal 1929 alla morte, che lo colse esiliato in Svizzera nel 1942, lavorò a L’uomo senza qualità, lasciato incompiuto.
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