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Dentro il ‘polar’: il rientro nei ranghi

IlRicettatoreRecensione de Il ricettatore, di André Héléna

Aìsara, Narrativa, 2009

Nella mia recensione a Gli sbirri hanno sempre ragione ho già accennato al fatto che André Héléna fu scrittore prolifico, avendo pubblicato in vita più di duecento romanzi, per lo più presso case editrici di second’ordine, specializzate nei generi poliziesco, noir oppure erotico. Héléna scriveva per vivere, essendo tra l’altro pagato poco e rivolgendosi ad un pubblico che poco badava alle raffinatezze letterarie.
È quindi inevitabile che una così vasta produzione fosse perlopiù caratterizzata da un livello artistico ritenuto piuttosto basso. La riscoperta dell’autore, avvenuta a partire dal 1986, si è quindi basata sulla pubblicazione di una piccola parte dei suoi romanzi, probabilmente quelli che gli addetti ai lavori hanno ritenuto letterariamente più significativi. Consultando uno qualsiasi dei siti francesi di vendita di libri, si trovano oggi in vendita non più di una ventina di titoli dell’autore occitano. Questa prima selezione – per compiere la quale comunque le ragioni del mercato hanno probabilmente avuto la loro parte, come può testimoniare il fatto che siano stati ripubblicati anche alcuni dei suoi romanzi erotici, con ogni probabilità non in ragione di riconosciuti meriti artistici – è stata ulteriormente affinata dagli editori italiani, che hanno tradotto una dozzina di suoi romanzi. Nonostante questa doppia distillazione anche le opere giunte nel nostro paese paiono caratterizzate – almeno a giudicare da queste mie prime letture – da livelli qualitativi diversi: così, Il ricettatore, pubblicato nel 1953, è un romanzo che – pur indubbiamente elevandosi letterariamente rispetto all’opera puramente di genere – si presenta come molto più convenzionale rispetto alla eterodossia de Gli sbirri hanno sempre ragione.
Il romanzo è centrato sulla figura, un modesto antiquario parigino, ormai oltre la cinquantina, nella cui bottega in Rue Didot, a Montparnasse, non entra quasi mai nessuno. In realtà il piccolo negozio è poco più di una copertura, perché la attività principale di Monsieur Bernard è quella di ricettatore: acquista infatti da ladri e rapinatori gioielli frutto dei loro colpi per smontarli e fonderli rivendendo le pietre e i metalli preziosi di cui sono composti. È anche coinvolto in una truffa orchestrata da un ex rappresentante di commercio originario di Tolosa, Joseph Vielmas. Costui è il santone di una setta paracristiana che ha adescato una trentina di anziani adepti, a cui spilla soldi sotto forma di sottoscrizioni per l’acquisto di paramenti e arredi sacri, a maggior gloria di dio. Monsieur Bernard fornisce al tolosano oggetti dozzinali, che gli ingenui fedeli pagano decine di volte il loro valore, ed i due si spartiscono il plusvalore. Il ricettatore è incensurato, e sue relazioni sociali si limitano ad una giornaliera partita a carte con tre conoscenti in un piccolo bistrot del quartiere.
In realtà questi ed altri particolari sul protagonista, sulla sua vita e sulla sua personalità il lettore li apprende nel corso della lettura: nelle prime pagine il romanzo descrive infatti l’episodio che trasforma il tranquillo ricettatore in un assassino. Uno scassinatore, soprannominato il Tatuato, in una sera piovosa rompe con un mattone la vetrina di una grande e nota gioielleria del centro e arraffa una quantità di gioielli, prima di infilarsi nella sua Mercury nera e fuggire. Quando è ormai sicuro di non avere la polizia alle calcagna vede nello specchietto retrovisore che nel sedile posteriore c’è un altro uomo, con una pistola in pugno, che gli ordina dove dirigersi. Durante il tragitto lo sconosciuto dice al Tatuato di non preoccuparsi: egli è solo un ricettatore che acquisterà i gioielli frutto della rapina ad un buon prezzo. Giunti in un androne deserto, conduce il rapinatore in un bugigattolo dove esamina la refurtiva, rendendosi conto del suo grande valore: mercanteggia con il rapinatore e dopo aver finto di cedere alle sue richieste lo uccide a sangue freddo, abbandonando quindi la Mercury con il cadavere al Bois de Boulogne.
Il delitto è pressoché perfetto: la polizia brancola nel buio, sospettando un regolamento di conti negli ambienti della mala a seguito del clamoroso furto, e Monsieur Bernard le è del tutto sconosciuto: per i pochi che frequenta egli è infatti solo un piccolo antiquario dalla vita anonima.
Nel romanzo, che è scritto in terza persona, due livelli narrativi si intrecciano strettamente: da un lato l’azione, che presenta i tratti tipici del noir, con omicidi e suspense, dall’altro l’analisi della psicologia dei personaggi, in particolare di Monsieur Bernard, affidata ai suoi pensieri e ai suoi ricordi, oltre che ai suoi gesti quotidiani di emarginato nella grande metropoli parigina. È a mio avviso quest’ultimo livello narrativo a rendere interessante il romanzo, ed a fare di Monsieur Bernard un personaggio letterario dotato di un suo preciso spessore e di una sua specifica tragicità, fratello minore di tanti altri esclusi che vedono nel crimine e nell’efferatezza una modalità di riscatto personale e sociale, anche se non bisogna sorprendersi del fatto che – considerata la collocazione editoriale delle opere di Héléna – l’analisi non si spinga mai in profondità, e molti spunti interessanti siano lasciati cadere o non siano sufficientemente sviluppati rispetto alle loro potenzialità.
Al netto di tale superficialità necessaria, l’autore si dimostra molto abile nel maneggiare la tecnica narrativa. Come detto sopra, Monsieur Bernard appare emergendo letteralmente dal sedile posteriore di una Mercury nera, e per due capitoli il lettore non ne conosce neppure il nome. È solo nel terzo capitolo che – sulla base di alcuni indizi – lo spietato ricettatore può identificarsi con il tranquillo signore di mezza età che giunge in ritardo al bistrot per la quotidiana partita a carte. Nel corso del romanzo le sue riflessioni – oltre che le sue azioni – permetteranno di conoscere sempre meglio la sua personalità, votata fondamentalmente ad un unico obiettivo: far soldi a qualunque costo. Monsieur Bernard è però dotato anche di una sua umanità, come dimostra l’episodio nel quale subisce un tentativo di rapina nella sua bottega da parte di un giovane spiantato, che non solo non denuncia (in verità anche perché ha tutto l’interesse a stare il più lontano possibile dalla polizia) ma addirittura congeda dandogli una piccola somma per sbarcare il lunario.
È solo nel terzultimo dei ventiquattro capitoli del romanzo che la conoscenza con Monsieur Bernard si completa, quando egli ricorda il padre, povero straccivendolo ebreo, ed una gioventù di stenti e miseria. Ventenne, si era innamorato di una bella ragazza, Geneviéve, che però l’aveva lasciato per divenire l’amante di un ricco e panzuto salumiere. Il giovane Bernard si era così convinto che per avere ragazze era necessario avere soldi, e il giorno in cui nella bottega del padre si era presentato un signore con una gran fretta di vendere due orologi aveva capito quale fosse una via sicura per farli, i soldi: comprare oggetti rubati e rivenderli a un prezzo molto maggiore. Forse non è granché, come approfondimento della personalità di un criminale, ma per quanto ci si aggiri in territori oggettivamente lontani da Dostoevskij è probabilmente sempre più di quanto trovavano abitualmente i lettori delle collane in cui pubblicava Héléna.
Un altro spunto di interesse del romanzo è dato dalla figura di Vielmas e dalla sua truffaldina attività. Nella Parigi degli anni ‘50, ormai rifluente in un asfissiante clima borghese dato anche dall’incipiente benessere diffuso, dopo i fervori dell’immediato dopoguerra, cominciava a diffondersi il fenomeno delle sette religiose, spesso anche oggi vere e proprie macchine costruite per truffare chi si rivolge a loro per tentare di superare la marginalizzazione sociale. Héléna tratta con amara ironia il fenomeno: Vielmas è un individuo prosaico e volgare più che abietto, dal quale è assente qualsiasi tratto carismatico; è pingue, goloso e si esprime con un forte accenno meridionale, ed in alcuni momenti la sua assoluta mancanza di spiritualità ricorda il guzzantiano santone di Quelo; unico suo intento è spillare soldi agli adepti, e in questo, con l’aiuto di Monsieur Bernard, riesce benissimo, tanto da accarezzare l’idea di espandere il suo business in provincia.
Ho accennato in esordio a queste note ad una qual certa convenzionalità del romanzo rispetto ai canoni del genere. A mio avviso l’elemento che lo caratterizza maggiormente in tal senso è la profonda differenza di trattamento che l’autore riserva alle forze di polizia, rispetto a quanto avvenuto ne Gli sbirri hanno sempre ragione. Qui infatti agenti, ispettori e commissari non sono più i sadici terminali di un sordo potere costituito che spinge chi ha sbagliato nel baratro del crimine, ma più convenzionalmente sono i tutori dell’ordine che agiscono – sia pure a volte con un po’ di rudezza – per il bene collettivo, per assicurare alla giustizia il criminale e rassicurare in questo modo la società. Anche di alcuni poliziotti Héléna racconta brevemente la vita e le aspirazioni, la famiglia, le paure e la distanza dalla pensione, a sottolineare come ormai, in quel 1953 così distante idealmente dal pur tanto prossimo 1949, anche les flics siano uomini come gli altri. Forse l’unico larvato accenno di critica al sistema che si può rinvenire nel romanzo è il fatto, anch’esso peraltro piuttosto convenzionale, che l’ispettore di polizia riceva ogni giorno pressioni dal prefetto per risolvere il caso dell’assassinio del Tatuato solamente in quanto egli (il prefetto) è amico del famoso gioielliere, che è impaziente di recuperare la sua roba.
Nel romanzo compaiono altre figure di criminali: in particolare, oltre al Tatuato, un ruolo importante nella vicenda lo gioca una banda di Còrsi, composta da Angelo, Jojo e Gino, reduci da una disastrosa rapina in una villa di campagna. Sono poco più che meri personaggi strumentali allo svolgimento degli eventi, caratterizzati dai clichés della mala francese, a partire dalla provenienza meridionale, per continuare con l’immancabile traction en avante usata per fuggire e per finire con l’atteggiamento da <>duri durante gli interrogatori; e non basta, per uscire da tali clichés, il personaggio del giovanissimo Gino, rapinatore alle prime armi che sarà il vero, anche se involontario, deus ex machina della vicenda di Monsieur Bernard.
Anche le descrizioni ambientali svolgono in questo romanzo un ruolo sbiadito rispetto a quanto avvenuto nel romanzo d’esordio. Strade ed edifici di Parigi nei quali si svolgono in gran parte le vicende narrate sono descritte con precisione, e l’autore cita spesso nomi di vie e piazze realmente esistenti. Tuttavia la città, e il meteo plumbeo che la caratterizza, rimangono uno sfondo, non partecipando agli eventi come avveniva in Les flics ont toujours raison!: si ha l’impressione che la stessa storia avrebbe potuto benissimo essere ambientata in una qualsiasi altri città francese od europea e sarebbe stata ugualmente in piedi.
Infine, anche il linguaggio usato da Héléna è molto più convenzionale ed ufficiale: mancano il turpiloquio e quasi del tutto l’argot che caratterizzavano e davano una forza peculiare all’altro romanzo: solo il titolo originale, che suona Le fourgue in luogo del più paludato Le receleur, richiama il gergo della mala.
Il romanzo poi paga dazio al genere, presentando una serie di situazioni improbabili, nonché alla scrittura affrettata, che ha portato l’autore ad alcune sviste e contraddizioni. Fedele all’intento di svelare il meno possibile della trama mi limito a citare un paio di esempi.
Il primo è relativo al già citato episodio iniziale della rapina perpetrata dal Tatuato nel centro di Parigi. Egli come detto riesce subito a far perdere le sue tracce, seminando facilmente alcuni poliziotti in bicicletta che hanno assistito alla spaccata. Ciò che a mio avviso non quadra è che egli sia a bordo di una Mercury nera, non proprio un modello di vettura anonimo e diffuso nella Parigi dei primi anni ‘50. Probabilmente qui Héléna è rimasto vittima dell’esotismo statunitense che in quegli anni iniziava a fondare la propria egemonia culturale in Europa ed anche in un paese così fiero della propria identità come la Francia.
Appare poi del tutto inverosimile, e completamente disallineato rispetto alla tranquilla personalità di Monsieur Bernard come emergerà nel corso del romanzo, che egli, trovandosi per caso ed armato di pistola sul boulevard nel quale il Tatuato farà il colpo, decida di infilarsi nella sua macchina mentre questi sta portando a termine la rapina.
Quanto alle sviste, ho notato in particolare la seguente. A pagina 80 Monsieur Bernard, riflettendo sui rischi del suo mestiere, afferma che ”in ogni caso [i suoi clienti], anche se gli va male, non fanno il nome del ricettatore, chi gli compra la refurtiva non corre rischi”. Passano solo una decina di pagine ed egli, sempre riflettendo, si contraddice quasi letteralmente, pensando che ”a volte i malviventi, quando si trovano incastrati, per prima cosa denunciano il ricettatore. Era uno dei rischi del suo mestiere”.
In definitiva quindi con Il ricettatore mi sono trovato di fronte ad un André Héléna diverso dallo scrittore di denuncia che avevo incontrato leggendo Gli sbirri hanno sempre ragione: è un Héléna probabilmente costretto, per vendere, a rientrare nei ranghi di un genere, il polar, che nel frattempo si stava affermando in Francia. Niente più polizia torturatrice e giudici indifferenti alle sorti del reo, quindi, ma una più ortodossa società fatta di criminali e di forze del bene incaricate di ripristinare la tranquillità sociale. Rispetto a questo schema preordinato, entro il quale deve giocoforza rimanere, ciò che l’autore si può permettere è l’indagine psicologica dei personaggi, sia deibuoni sia dei cattivi che appaiono sulla scena. Deve però stare attento a non eccedere, a non permettere che l’indagine psicologica rallenti troppo l’azione e la suspense che deve fornire ai suoi lettori.
Da scrittore sicuramente abile egli riesce a bilanciare questi due elementi fondanti il romanzo: costruisce una storia avvincente e tragica, che risponde ai canoni del noir e dà vita sicuramente con Monsieur Bernard ad un personaggio a tutto tondo, che può reggere il confronto con molti dei piccoli grandi criminali di cui è cosparsa la letteratura di genere. Il romanzo manca però della forza dirompente della prova d’esordio, ed il piccolo e grigio ricettatore di Montparnasse, per quanti sforzi faccia, non riesce ad uscire dalle strette maglie della convenzionalità letteraria che il suo creatore gli ha cucito addosso.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

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