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L’amore all’alba della modernità

TristanoeIsottaRecensione di Tristano e Isotta, di Thomas

Garzanti, i grandi libri, 2005

La lettura di Tristano e Isotta di Thomas d’Inghilterra può risultare sicuramente un’esperienza incompleta, se non è accompagnata da uno sforzo di documentazione sul mito dei due amanti e sul suo sviluppo nella storia della letteratura ed in generale della cultura europea. Questo ulteriore sforzo chiesto al lettore è necessario almeno per due motivi: il primo è che il testo di Thomas è lacunoso, ed i circa tremila versi che ci rimangono, rappresentando come sembra circa un sesto dell’opera originaria, non riescono da soli, nonostante si siano salvate parti molto significative, a rendere appieno conto della complessità della vicenda; il secondo motivo è che la vicenda di Tristano e Isotta ha origini molto più antiche del poema di Thomas, ed ha accompagnato costantemente la cultura europea sino ai giorni nostri, venendo ripresa e declinata in infinite varianti, tanto da costituire uno dei suoi miti fondanti, al pari di quello di Faust o di numerosi miti di origine greca. Il poema di Thomas è quindi solo un tassello, anche se uno dei più importanti, di una vicenda letteraria e culturale che ha assunto nel corso dei secoli sfaccettature molto diversificate, cui bisogna necessariamente far riferimento non solo per contestualizzarla, ma anche per comprenderla. Mai come in questo caso, quindi, è necessario quantomeno accompagnare la lettura del testo con quella attenta della bella ma non facile prefazione di Fabio Troncarelli, traduttore del poema e curatore del volume, che ci introduce sapientemente nel mondo che ha generato il mito dei due infelici amanti e ci guida nei suoi sviluppi lungo i secoli.
Di Thomas sappiamo pochissimo: era un chierico, che visse alla corte londinese di Enrico II Plantageneto e di sua moglie Eleonora d’Aquitania. Enrico, il re che avrebbe fatto assassinare Thomas Becket, fu un grande riformatore, e tenne in grande considerazione la cultura e le arti. Probabilmente Thomas scrisse Tristano e Isotta per la regina Eleonora attorno agli anni ‘60 del XII secolo. L’origine di corte, quindi cortese, del poema di Thomas lo differenzia dal precedente da noi conosciuto, quello di Béroul, definito primitivo o volgare, in quanto Thomas accentua, anche attraverso interventi diretti nelle vicende, le riflessioni sull’amore come sentimento irrazionale e sublima gli aspetti più carnali del rapporto tra i due amanti.
I frammenti del poema di Thomas che ci restano sono suddivisi in cinque episodi molto diversi quanto a lunghezza, che riguardano la parte finale delle vicende dei due amanti. Essi vanno incastonati, per essere compresi appieno, nell’insieme della storia, come può essere riassunta facendo ricorso alle varie opere, più o meno antiche, che la narrano.
Tristano, orfano sin da piccolo, è allevato dallo zio Marco, re di Cornovaglia. Apprende l’arte della guerra e si rivela presto un cavaliere indomito e coraggioso. Quando un gigantesco guerriero irlandese, Morholt, minaccia il regno di Marco, Tristano lo uccide in duello. È però ferito da una freccia avvelenata e, prossimo alla morte, si lascia andare alla deriva su una nave che tocca le coste irlandesi: qui viene raccolto e curato da Isotta la bionda, figlia del re d’Irlanda e nipote di Morholt, la quale non sa che Tristano ha ucciso suo zio. Più tardi, al fine di mettere fine al contrasto tra i due regni, Marco decide di sposare Isotta e manda Tristano in Irlanda per accompagnare la futura sposa in Cornovaglia. Dopo aver ucciso un terribile drago ed essere stato curato da una ferita ancora una volta da Isotta, i due partono alla volta della Cornovaglia. Durante il viaggio si svolge il famoso episodio del filtro d’amore: Tristano beve per errore, credendolo vino, un filtro fatto preparare dalla madre di Isotta per i due sposi. Tristano ed Isotta sono così avvinti da un amore cui non possono resistere; Isotta sposa comunque Marco, ma si farà sostituire dalla sua ancella Brangvain la prima notte di nozze, tentando quindi di farla assassinare perché non riveli a Marco il suo sentimento per Tristano. L’amore clandestino tra i due prosegue, sempre sul punto di essere scoperto dal sospettoso Marco, messo sull’avviso dai suoi baroni, finché Tristano decide di partire e lasciare Isotta allo zio, legittimo sposo. Dopo numerose avventure in Spagna, al servizio di Re Artù, Tristano si stabilisce in Bretagna, da dove si reca spesso in Cornovaglia sotto vari travestimenti per vedere l’amata, che tuttavia non sempre lo riceve con benevolenza. Spinto dall’incertezza nei riguardi del perdurare del sentimento di Isotta e nel contempo affascinato dall’omonimia, sposa Isotta dalle bianche mani, la giovane figlia del Duca di Bretagna di cui è al servizio, con la quale tuttavia, tormentato dai dubbi, non consuma il matrimonio. Continua sia ad andare a trovare Isotta la bionda sia ad essere l’eroe di mille avventure cavalleresche, sino a quando resta ferito durante uno scontro per aiutare un suo omonimo, Tristano il nano, a salvare la moglie rapita da un malvagio signorotto. La ferita, causata da un’arma avvelenata, è mortale: l’unica che può salvare ancora una volta Tristano è l’amata Isotta. Tristano manda il cognato, Kaerdin, in Cornovaglia, travestito da mercante, per chiedere a Isotta di raggiungerlo. Se Kaerdin tornerà con Isotta, dovrà issare vele bianche, se fallirà, nere. Sua moglie ha sentito il colloquio tra i due e, rosa dalla gelosia, decide di vendicarsi. Quando, dopo numerose traversie, la nave di Kaerdin si avvicina alla costa bretone, Tristano, ormai allo stremo delle forze, chiede alla moglie di che colore siano le sue vele: mentendo, ella dice che sono nere, e a quella ferale notizia Tristano si lascia morire. Isotta la bionda sbarca durante il funerale dell’eroe, e sopraffatta dal dolore muore baciando il corpo esanime dell’amato. La vedova, pentita del dolore che ha provocato, rimanda i corpi dei due amanti in Cornovaglia, dove verranno seppelliti insieme: due alberi spuntati sulle loro tombe si avvinghieranno in modo inestricabile.
Questo riassunto è ricavato da notizie in rete, ed è la crasi di diverse fonti di varie epoche, che raccontano ovviamente la storia con numerose varianti ed episodi collaterali.
Come detto, ciò che ci rimane del poema di Thomas tocca solo alcuni passi della vicenda. Il primo, brevissimo episodio, narra la partenza di Tristano dalla Cornovaglia dopo che Marco ha rischiato di cogliere i due amanti in flagrante. Segue un capitolo cruciale, molto lungo, nel quale Tristano, tormentato e incerto tra l’amore per Isotta e la prospettiva del piacere che gli può dare l’omonima bretone, decide di sposare quest’ultima, salvo poi non riuscire a consumare il matrimonio; il capitolo termina con il dolore di Isotta la bionda che viene malignamente avvisata da Kariados, un cavaliere che ha mire su di lei, del fatto che Tristano l’ha tradita sposandosi con un’altra.
Il terzo capitolo, di poche pagine, inizia con le dolenti considerazioni che Tristano rivolge alle statue di Isotta e di Brangvain, la sua ancella, da lui costruite in una grotta per poter stare vicino all’amata e si conclude, dopo alcune considerazioni dell’autore sul diverso tipo di dolore provato dai quattro protagonisti (Marco, Isotta, Tristano e l’altra Isotta), con un episodio quasi farsesco che svela a Kaerdin come fra i due sposi non vi sia stato alcun rapporto carnale.
Molto breve è anche il quarto episodio, relativo ad una delle visite di Tristano in Cornovaglia, accompagnato da Kaerdin che nel frattempo si è innamorato di Brangvain avendone visto la statua: i due seguono dal folto della chioma di una quercia il corteo reale, scorgendo Isotta e Brangvain.
Il quinto capitolo, che da solo occupa più di metà dell’intero poema, narra vari episodi. Si apre con l’ira di Brangvain che, abbandonata da Kaerdin (divenuto suo amante) costretto a tornare in Bretagna insieme a Tristano, crede alle malignità di Kariados che insinua che i due siano vilmente fuggiti, e incolpa la sua signora Isotta di averla disonorata spingendola all’amore per un vile. Furiosa anche perché memore dell’occasione in cui Isotta aveva cercato di farla uccidere, Brangvain vuole rivelare a Marco che Isotta continua a tradirlo. Dopo aspri scontri tra le due donne, Brangvain si riconcilia con Isotta e collabora all’incontro tra quest’ultima e Tristano, giunto in Inghilterra ancora una volta travestito, questa volta da lebbroso. Il capitolo ed il poema si chiudono quindi con le vicende che portano alla morte di Tristano.
Come già accennato, a mio avviso questo è un libro la cui analisi deve essere necessariamente accompagnata da considerazioni di carattere più generale tratte da una conoscenza più complessiva della vicenda. La lettura del libro in sé, infatti, può risultare poco significativa, in quanto i cinque episodi sono scollegati l’uno dall’altro, e l’ottima (a mio avviso) traduzione di Fabio Troncarelli, che mantiene il classico ritmo ottosillabico del testo scritto da Thomas in francese antico non adattandolo praticamente mai a quello novenario della piana lingua italiana, non è ovviamente in grado da sola di colmare le molte lacune del poema. Analizzando alcuni dei passaggi più significativi del testo avendo in mente lo sviluppo complessivo della vicenda, emergono sicuramente alcuni elementi sui quali riflettere e che contribuiscono a contestualizzare anche storicamente il poema.
È ad esempio secondo me molto importante soffermarsi attentamente sulla prima parte del secondo capitolo, quella in cui Tristano prende la decisione di sposare Isotta dalle bianche mani. Nel lungo monologo Tristano cerca di convincersi che Isotta la bionda non lo ama più, che sicuramente ha trovato nella natura, nei fatti, ovvero nel suo rapporto quotidiano con Marco, l’antidoto al suo amore per lui, e se non è arrivata ad odiarlo lo sta senza dubbio dimenticando. Giunge ad essere crudelmente severo con lei, imputandole il fatto di non cercarlo mai: “Non mi trova? Non mi cerca.” Anche lui si sente quindi legittimato a seguire la natura e i fatti, ricercando il piacere senza amore che può dargli il matrimonio con Isotta dalle lunghe mani. Seguono alcune decine di versi di commento da parte dell’autore, che ci avverte di come Tristano in realtà sposi Isotta solo perché si chiama come la donna da lui amata, e…
”Perché il nome la fa bella
e più bella senza il nome
non gli sembrerebbe. […]
[…]Una vendetta
triste, piena di dolore:
fare male per sentire
nuovo male, ricreare
una pena per lasciare
una pena ed affondare
dentro un’altra pena.”

C’è qui, a mio avviso, forse l’essenza della tragedia di Tristano e Isotta, l’elemento che – nonostante l’ambiente cortese in cui nasce, nonostante alle necessità di questo ambiente l’autore adatti il tono formale dell’opera – ne fa una tragedia non ascrivibile ai romanzi che in quello stesso scorcio del medioevo narravano dell’amor cortese, e che spiega perché abbia attraversato le epoche per affascinare i letterati sino al romanticismo e oltre. L’amore fra Tristano e Isotta è infatti totalmente diverso dall’amore cortese tra il cavaliere e la sua dama. È un amore straniante, contrapposto al senso logico delle cose, ai fatti e alla natura, che coinvolge i protagonisti loro malgrado, come dimostra il fatto che nasca da un filtro ingerito inconsapevolmente, che essi stessi non sanno né gestire né interpretare correttamente, un grande enigma che troverà soluzione solo nella morte di cui sarà inevitabilmente portatore. Non quindi l’amore portatore di ebbrezza, di gioia e di tormento per una dama angelizzata, ma un amore del tutto irrazionale, che porta solo dolore, antitetico a qualsiasi tentativo di ricondurlo entro argini socialmente delimitati. Non esiste alternativa: se vincesse l’amore tra i due, la natura ed i fatti ne verrebbero sconvolti: ma siccome questi non possono essere sconvolti, l’amore non può vincere, e la consapevolezza di ciò genera il dolore e la tragedia finale. Isotta, poi, è tutt’altro che la dama angelizzata dei cicli trobadorici: rivela tratti di crudeltà, incaricando dei sicari di uccidere Brangvain per salvare la sua reputazione, tratta spesso male, anche immotivatamente, Tristano, ma soprattutto è anch’essa vittima di un sentimento che forse vorrebbe non provare. Insomma, una concezione dell’amore sicuramente più moderna che medievale, e di questo sembra essere cosciente il chierico Thomas, che ad un certo punto dichiara di non avere mai provato un amore come quello che descrive.
Thomas ci consegna un poema nel quale descrive un dramma dotato di tratti di indubbia modernità perché vive in un contesto sociale che si sta avviando, sia pure tra mille contraddizioni, verso la modernità. L’azione riformatrice di Enrico II Plantageneto era volta a centralizzare il potere, limitando il potere dei baroni e della chiesa e creando un sistema giudiziario efficace, ma anche a favorire i commerci: egli infatti incoraggiò mercanti tedeschi a stabilirsi a Londra: non a caso nelle ultime pagine del poema Thomas tesse l’elogio della Londra borghese. Era quindi, quello di Enrico, un regno che andava distaccandosi rapidamente dal feudalesimo medievale, e che di lì a pochi decenni avrebbe prodotto la Magna charta con tutte le conseguenze che tale atto avrebbe comportato per lo sviluppo della società britannica. Il Tristano e Isotta di Thomas, che ci descrive un sentimento contraddittorio, i cui protagonisti sono uomini e donne in carne ed ossa, è figlio di quei primi vagiti di modernità sociale, e questo ha reso la vicenda che narra il modello di tante storie scritte da autori moderni.
Tante altre cose vi sarebbero da dire, ad esempio sull’origine celtica, o iranica, del mito, sul fatto che i due eroi muoiono a causa di due omonimi, oppure sui significati reconditi che si possono associare alla riproduzione come statue di Isotta e Brangvain, ma lascio questi spunti al lettore, per non appesantire ulteriormente queste note, che possono giocoforza solo parzialmente dare conto della complessità di un mito che ci affascina ancora oggi per la sua tragica irrisolvibilità.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

3 pensieri riguardo “L’amore all’alba della modernità

  1. Ciao Vittorio.
    Bella presentazione di un argomento veramente complesso (una costellazione variabile di episodi attorno a una trama di massima più che una leggenda unitaria), e dei tentativi che sono stati fatti di piegare in senso cortese una materia che in origine cortese non era (probabile che l’influenza di Aliénor di Aquitania sia stata determinate, come lo sarà per Chrétien de Troyes quella della figlia Marie di Champagne).
    Sappiamo che non sei germanofilo, certo però che un accennino alla forma più completa, realizzata e moderna della leggenda, al Tristan und Isolde di Gottfried von Strassburg potevi anche farlo. Come al Tristano di Wagner, accidenti. O sei come la radio israeliana che si scusa pubblicamente per aver mandato in onda musica di Wagner? 🙂
    Buona domenica di sole radioso!
    Elena

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    1. Chi ha detto che non sono germanofilo (almeno in senso culturale?). Mi attribuisci una posizione analoga a quella per cui chi critica lo stato di Israele viene tacciato di antisemitismo. Al proposito, non sapevo di questa cosa della radio israeliana: l’unico commento che mi sento di fare è che forse dovrebbero chiedere scusa per ben altre cose combinate in questi decenni (e con questo mi sono assicurato una prossima visita del Mossad).
      Sul mito di Tristano e Isotta e sulla sua evoluzione nel tempo sono state scritte credo decine di migliaia di pagine e sarebbe stato complicato per me andare più in là di quanto ho scritto senza spacciare competenze che non ho: quello di Thomas è l’unico testo che ho letto, per cui le mie conoscenze in proposito sono estremamente limitate, anche perché il medioevo è un territorio che bazzico poco. Vedo invece che (come su praticamente tutto) tu sei molto ferrata in materia, ed a questo mi inchino. Comunque quello che ho spiluccato qua e là mi ha ovviamente molto affascinato, e non è detto che prima o poi non senta il desiderio di approfondire ulteriormente.
      A presto
      V.

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      1. Non volevo dire che la tua presentazione fosse incompleta. Come detto, è un’ottima presentazione di una materia altamente complicata. Mi dispiace solo che, come succede spesso, per motivi nazionalistici (i francesi non tollerano che qualcuno abbia fatto qualcosa meglio di loro) o ideologici (è inutile, a Wagner un po’ di puzza di zolfo non gliela toglie nessuno), l’apporto tedesco resti un po’ in ombra.
        E’ vero, è sbagliato dire che non sei germanofilo, almeno culturalmente; avrei dovuto dire che non sei odinofilo o wotanofilo, cioè non hai (mi pare) un particolare interesse per un’umanità eroica che non vede quella grossa distanza fra il piano umano e quello divino – e che rischia di non digerire molto bene l’opzione autoflagellante e piagnona che ci viene dall’ebraismo via cristianesimo.
        Là, così mi sono assicurata anch’io una visita del Mossad 🙂

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