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La storia di un uomo di carattere

IlSindacodiCasterbridgeRecensione de Il sindaco di Casterbridge, di Thomas Hardy

Rizzoli, BUR Classici moderni, 2007

Questo blog, sul quale mi diverto a riportare i commenti alle mie letture, ha purtroppo anche la capacità di ricordarmi l’inesorabile passaggio del tempo. Capita ormai di frequente, infatti, che debba scrivere di un autore di cui mi sia già occupato in passato, e che andando a rileggere quanto già scritto mi renda conto di quanto tempo sia nel frattempo passato.
È il caso di Thomas Hardy, la cui mia unica lettura precedente, Tess dei d’Urberville, ho visto con un certo sgomento risalire ad ormai dieci anni fa, mentre nel mio inconscio la ritenevo lettura abbastanza recente. In questi dieci anni sono accadute molte cose, e se a livello personale posso dire che tutto sommato il bilancio non è negativo, alzando lo sguardo dal mio ombelico ed osservando il mondo ed il mio Paese mi sento di dire con nettezza che mai avrei immaginato si potessero raggiungere gli abissi di degrado politico, sociale, civile e delle coscienze cui stiamo assistendo, che – ne sono convinto – ci porteranno presto alla catastrofe, cui stiamo andando incontro ormai intontiti dalla più bieca propaganda spacciata per informazione e con una leggerezza tale da far impallidire (facendo ricorso ad una abusata ma efficace metafora) le ultime ore del Titanic. Ma tant’è. Non resta che sperare che la catastrofe prossima ventura porti almeno alla completa estinzione della nostra specie, risultato di un imperdonabile errore del processo di selezione naturale.
Nell’attesa, mi dedicherò al commento di ben cinque opere di Hardy, iniziando da una delle più significative: Il sindaco di Casterbridge.
Il romanzo fu pubblicato a partire dal gennaio 1886 in dispense settimanali, e nel maggio dello stesso anno comparve in due volumi. Hardy, all’epoca quarantaseienne, aveva alle spalle la pubblicazione di altri nove romanzi, in generale accolti tiepidamente dalla critica e dal pubblico: ne avrebbe scritti altri quattro nei successivi nove anni, per poi dedicarsi – sino alla morte che lo colse nel 1928 – quasi esclusivamente alla poesia. Come noto, le ragioni che lo spinsero ad abbandonare la scrittura in prosa sono da ricercarsi nelle polemiche, anche familiari, che seguirono l’uscita di Jude l’oscuro (1895): ma di questo a suo tempo.
Nell’edizione originale Il sindaco di Casterbridge ha come titolo completo The Life and Death of The Mayor of Casterbridge: A Story of a Man of Character; l’edizione italiana da me letta, di fatto l’unica ancora oggi disponibile, che riprende, anche tipograficamente, quella originale del 1953, restringe il titolo: non si tratta di un peccato grave, anche se non permette al lettore di entrare nello spirito del romanzo da subito. Più grave è invece a parer mio il fatto che sia stata omessa anche la prefazione dell’autore all’edizione del 1895 del romanzo – invece puntualmente riportata in quasi tutte le edizioni in lingua originale che ho potuto consultare – nella quale egli in qualche modo risponde alle critiche rivoltegli rispetto alla scarsa verosimiglianza della parlata scozzese di uno dei protagonisti, Donald Farfrae, asserendo di non aver voluto tanto riprodurre lessicalmente l’inflessione scozzese, quanto di averla resa nei termini in cui un ascoltatore meridionale l’avrebbe percepita. Questa precisazione indica quanto l’autore fosse sensibile al realismo della sua prosa. Sempre dalla prefazione veniamo anche a sapere che il romanzo pubblicato a dispense era monco di un capitolo, recuperato nell’edizione in volume. Anche la produzione artistica di Hardy è dunque stata condizionata dalle esigenze dell’industria culturale inglese dell’epoca, come confermato dallo stesso autore nella Prefazione generale all’edizione Wessex del 1912, che raccoglie le sue opere ambientate in tale regione del sud-ovest dell’Inghilterra. Nelle prime righe di questo importante documento, sul quale tornerò nel corso dei prossimi commenti alle sue opere, Hardy infatti afferma, quasi a scusarsi di una asserita scarsa qualità dei suoi romanzi: ”A volte l’intento [della scrittura] era meno elevato; altre volte, in cui l’intenzione era particolarmente elevata, la forza delle circostanze (tra le quali le principali consistevano nelle necessità legate alla pubblicazione su riviste) mi costringevano a una modifica, grande o piccola, del piano originario”. Poco oltre egli procede anche ad una sorta di classificazione dei suoi romanzi, suddividendoli in tre gruppi che in qualche modo ne indicano l’ordine di rilevanza artistica.
Chiama il primo gruppo Novels of character and environment, ed in esso include ”[i romanzi] che si avvicinano molto ad essere opere non soggette ad influenze [uninfluenced works] e uno o due [romanzi] che, qualunque sia la qualità di alcuni dei loro episodi, possono rivendicare una verosimiglianza nella cura generale e nei dettagli”; il secondo gruppo è quello dei Romances and fantasies, che ritiene ”una definizione sufficientemente descrittiva”, mentre l’ultimo gruppo è quello dei Novels of ingenuity, romanzi che mostrano ”un non infrequente disprezzo per ciò che è probabile nella catena degli eventi e il cui interesse dipende in larga parte da singoli episodi. Potrebbero anche essere definiti ‘esperimenti’ e furono scritti solamente per il momento, anche se, nonostante l’artificiosità della narrazione, alcune scene non sono prive di fedeltà alla vita”. Hardy non elenca i romanzi che ricadono nelle tre classi, ma chi fosse interessato può trovarli nella voce di Wikipedia in lingua inglese dedicata all’autore; tutti i suoi romanzi giudicati ancora oggi maggiori ricadono nella prima classe, e tra questi vi è anche Il sindaco di Casterbridge.
Protagonista del romanzo è Michael Henchard, uomo di carattere di cui il romanzo segue ascesa e caduta. Il lettore lo incontra mentre una sera di fine estate del 182.., poco più che ventenne, giunge a piedi, con la moglie e la figlia di pochi mesi, nei pressi del villaggio di Weydon-Priors, nel Wessex Superiore. Henchard è un tagliatore di fieno e si sta spostando con la famiglia in cerca di lavoro. La coppia è oppressa dalla miseria, dall’incertezza per il futuro e da latenti tensioni. A Weydon-Priors c’è la fiera, e la moglie convince Henchard ad entrare nel tendone dove viene venduto buon furmity (sorta di porridge di grano, malamente tradotto in farinata) invece che in quello dove si mesce birra e sidro, a cui il marito avrebbe voluto dirigersi.
La megera che serve il furmity lo allunga, per un modesto sovrapprezzo, con rum di contrabbando; Henchard apprezza la variante prendendone alcune tazze e finisce per ubriacarsi, lanciandosi in sconclusionate discussioni con gli altri avventori. Giunge così ad accusare moglie e figlia di essere un peso e si dice disposto a cederle per una congrua cifra. Mentre la moglie, vergognandosi e sentendosi umiliata dal comportamento del marito, lo prega di smetterla, uno degli avventori, un marinaio non del posto, accetta l’offerta, e la compravendita è conclusa. La moglie, anche per vendicarsi di un tale marito, accetta lo scambio e se ne va con la bambina. Il giorno dopo, uscito dai fumi dell’alcool, Henchard, pentito, si mette in cerca della moglie, senza risultati. Disperato, fa voto di non bere più per ventuno anni, quando avrà il doppio dell’età che ha ora, e si rimette in cerca di lavoro, giungendo nella piccola città di Casterbridge, nel Wessex meridionale.
Dopo quasi due decenni da questi avvenimenti una signora giunge a Weydon-Priors accompagnata dalla figlia: si tratta naturalmente della moglie di Henchard, Susan, e di sua figlia Elizabeth-Jane. Il marinaio che le comprò si è rivelato un buon compagno e padre, ma ora è disperso in mare al largo di Terranova; Susan ha inoltre capito che il contratto che lo legava a lui non aveva alcun valore morale, oltre che legale, per cui si è decisa ad andare alla ricerca del suo vero marito; ad Elizabeth-Jane, che crede suo padre il marinaio morto, ha solo detto che vuole ritrovare un lontano parente, e neppure lei sa di preciso cosa accadrà in caso lo ritrovasse. Ritrova la venditrice di furmity, che rammenta l’episodio della vendita e le riferisce che lo stesso uomo, l’anno successivo, passando di là l’aveva pregata, in caso una donna fosse venuta a cercarlo, di dirle che l’avrebbe trovato a Casterbridge. Così madre e figlia si dirigono verso la città, di cui Michael Henchard è nel frattempo divenuto il più importante commerciante di grano e fieno ed è l’attuale sindaco. Mentre vi sono i primi contatti tra Henchard, la moglie ed Elizabeth-Jane compare sulla scena il secondo protagonista del romanzo: Donald Farfrae è un giovane scozzese, di passaggio a Casterbridge sulla via di imbarcarsi per l’America. Incidentalmente dà un consiglio a Henchard su come ripulire il grano dai parassiti e così facendo si conquista la sua ammirazione e fiducia, tanto da proporgli di rimanere come amministratore della sua azienda. Dopo un iniziale rifiuto Farfrae accetta, anche perché affascinato dalla grazia di Elizabeth-Jane, ed in breve introduce importanti novità e razionalizzazioni che fanno prosperare come non mai gli affari di Henchard, che lo tratta con un affetto da padre. Poco tempo dopo Henchard e Susan convolano a nuove nozze, a suggello della fine dell’equivoco rapporto con il marinaio e del ritrovato amore; Elizabeth-Jane inizia a benvolere il patrigno e ad assaporare le gioie di una vita agiata. Quando tutto sembra essersi sistemato per il meglio iniziano i problemi, in gran parte dovuti al carattere burbero e sospettoso di Henchard: numerosi drammi e colpi di scena lo porteranno in pochi anni a perdere tutto, compreso sé stesso.
Una prima considerazione da farsi riguarda una problematica che accompagna da sempre le analisi dell’opera di Hardy: il peso che egli attribuisce al destino ed al caso nel determinare le vicende dei suoi personaggi. Dopo la remota lettura di Tess dei d’Urberville il mio commento si centrò proprio su questo aspetto, perché casualmente (guarda guarda…) proprio in quei giorni Pietro Citati pubblicò sul Corriere della Sera un breve saggio sull’opera di Hardy, intitolata ”Metafisica della brughiera dove gli uomini sono fantasmi, e il cui catenaccio recitava: ”Nei romanzi di Thomas Hardy la Natura è strumento per assoggettare gli individui ai progetti del Destino”. Contestai allora la tesi sostenuta dal critico che la vicenda di Tess vicenda fosse già scritta in un Destino imperscrutabile, sostenendo che invece la sua tragica storia fosse il frutto del comportamento degli uomini e donne che aveva incontrato. Credo di poter ribadire quanto sostenuto allora anche relativamente a quanto narrato ne Il sindaco di Casterbridge. È pur vero che Hardy all’inizio del romanzo fornisce al lettore un esempio lampante dell’azione del Destino, quando porta Henchard ad accettare la proposta della moglie di entrare nella tenda dove viene venduto furmity e non in quella della birra, presumibilmente per evitare che si ubriachi, ottenendo esattamente l’effetto indesiderato che segnerà le loro vicende; è però altrettanto vero che – come detto – sarà lo stesso Henchard, con il suo carattere, la sua ostinata inadeguatezza nei rapporti umani, a determinare la propria rovina. Anche l’altro momento in cui entra in gioco il destino, ovvero le grosse perdite subite da Henchard per le bizze del tempo, in realtà sono conseguenza di una azzardata speculazione voluta pervicacemente dal commerciante.
E proprio il complesso character di Michael Henchard costituisce il vero centro del romanzo ed anche, a mio avviso, l’elemento di maggiore valenza letteraria. Da un lato egli è un individuo capace di abbassarsi a livelli infimi, giungendo come detto a vendere la moglie, a progettare di uccidere un altro uomo e ad abbandonare una promessa sposa con una lettera; dall’altro dimostra una profonda inadeguatezza a rapportarsi con gli altri, anche a causa del suo animo contadino, che lo porta a sentirsi superiore ed invincibile ma anche ad una innata sospettosità nei confronti degli altri; purtuttavia si rivela anche capace di grandi gesti di disinteressata generosità, e alla fine si può affermare che egli sia vittima, oltre che di sé stesso, anche dell’incomprensione di questo suo carattere involuto ed ambivalente da parte di chi lo circonda, Elizabeth-Jane e Farfrae innanzitutto. Proprio questi due personaggi, che ad una prima lettura appaiono nella loro positività quasi stereotipati, a ben guardare sono pervasi da una notevole dose di ambiguità: saranno loro a dare a Henchard, per una speculare incapacità di comprendere il suo vero carattere, la spinta finale quando si troverà sull’orlo dell’abisso. È da notare tra l’altro come nel finale Hardy faccia riverberare l’ombra di quanto accaduto sul futuro dei due giovani.
La psicologia di Henchard ed il ruolo chiave che gioca nel romanzo, oltre che farne uno dei personaggi memorabili della letteratura inglese, diviene a mio avviso anche paradigmatica di come Hardy si collochi a cavallo tra due epoche letterarie: la complessità del personaggio supera infatti di molto quella di molti suoi cugini vittoriani, ma si sente che ad Hardy mancano gli strumenti analitici per spingersi in profondità nella psiche del personaggio e far emergere le pulsioni profonde che determinano le sue scelte. Prevale quindi nel romanzo un realismo di stampo ancora ottocentesco, che si può rintracciare anche nelle pagine quasi balzachiane dedicate a descrivere le modalità del commercio, i rapporti economici tra i vari soggetti, le innovazioni tecnologiche in agricoltura, i meccanismi speculativi etc.
Nei romanzi di Hardy, come ricordato anche da Citati, la Natura gioca un ruolo importante, ed accompagna con tocchi impressionistici la narrazione in terza persona onnisciente dell’autore, che peraltro interviene spesso direttamente. In questo romanzo essa tuttavia differisce tipologicamente dalla brughiera misteriosa ed estranea nella quale sono immerse altre storie di Hardy: attorno a Casterbridge vi sono infatti campi coltivati, dove spesso fervono le attività umane: è una natura addomesticata ed amica, frequentata dall’uomo sin da tempi antichi, che supporta la vita economica e sociale della città. Semmai è la città stessa a presentare ambiti misteriosi e presaghi di tragedia, onusta com’è di solitari resti romani e medievali teatro dei momenti salienti del romanzo; notevole è anche la capacità di Hardy di presentare al lettore i diversi ambienti urbani; vie, piazze e quartieri presentano ciascuno una loro precisa caratterizzazione, data sia dalla loro fisionomia sia dagli strati sociali che li frequentano.
Termino, come spesso faccio, con una nota sull’edizione letta, che come detto è di fatto l’unica in commercio nel nostro Paese. La traduzione di Luigi Berti, poeta e scrittore scomparso da sessant’anni, presenta ormai evidenti segni di logoramento, non tanto per l’uso di termini desueti, che spesso conferiscono carattere al testo, quanto per l’incapacità di rendere le parlate dialettali usate da Hardy. Sarebbe davvero ora che l’editoria italiana proponesse una nuova versione di questo importante romanzo, collocando questo volume BUR nel luogo che merita, quello delle edizioni storiche

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

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