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L’operaio Jude, schiacciato per aver osato sfidare in anticipo i tempi

JudelOscuroRecensione di Jude l’oscuro, di Thomas Hardy

Garzanti, i grandi libri, 1995

Con Jude l’oscuro termina per ora la mia immersione nelle opere di Thomas Hardy; termina nel modo più alto, perché questo romanzo, l’ultimo dell’autore inglese, rappresenta in qualche modo la summa della sua opera, nella quale si possono ritrovare i suoi grandi pregi di narratore ma anche alcuni suoi congeniti difetti.
Jude l’oscuro fu pubblicato in volume nel 1895, quattro anni dopo Tess dei d’Urberville; come quest’ultimo, uscì prima a dispense su una rivista in versione censurata. Fu subito oggetto di asprissime reazioni della critica conservatrice e degli ambienti ecclesiastici, che lo accusarono di essere un attentato all’istituto del matrimonio e di contenere riferimenti alla sessualità, argomento tabù per eccellenza nell’Inghilterra vittoriana. Secondo la vulgata corrente un vescovo giunse a bruciare in piazza una copia del romanzo, mentre parte della critica più retriva lo rinominò Jude l’osceno.
Hardy non era nuovo a critiche reazionarie nei confronti delle sue opere, le ultime avendo preso di mira proprio Tess dei d’Urberville: nel caso di Jude l’oscuro, però, queste furono particolarmente virulente, ed a quelle ufficiali si unirono gli strali della moglie, Emma Gifford, con la quale i rapporti erano tesi da tempo, che riteneva di essere stata ritratta dal marito nel personaggio di Sue Bridehead. Queste critiche ferirono profondamente l’autore, che nei restanti trent’anni di vita non scrisse più in prosa, dedicandosi esclusivamente alla poesia e alle nuove edizioni delle sue precedenti opere; anche se alcuni critici ritengono semplicistica l’ipotesi che la rinuncia di Hardy sia stata legata all’accoglienza di Jude, di fatto questo è ciò che accadde.
Il corposo ed articolato romanzo, del quale è necessario riportare a grandi linee la trama per tentarne un’interpretazione, è incentrato sulla vita del protagonista, Jude Fawley, che incontriamo undicenne nel piccolo villaggio di Marygreen, nel Wessex settentrionale. Anche questo romanzo è quindi ambientato nella antica regione storica cara a Hardy, sebbene ai suoi margini. Marygreen è infatti identificabile con il piccolo villaggio di Fawley, nel Berkshire, richiamato dal cognome del protagonista e posto ad una ventina di miglia a sud di Oxford; proprio la città universitaria, situata oltre i confini del Wessex, sarà – con il nome di Christminster – una delle protagoniste del romanzo, insieme a Melchester (Salisbury), Shaston (Shaftesbury), Aldbrickham (Reading) e ad altre località della estrema porzione orientale del Wessex. Vedremo come questa ambientazione periferica assuma un preciso significato rispetto alle tematiche del romanzo.
Jude è orfano e circa un anno prima è giunto a Marygreen per essere affidato ad una vecchia zia, Drusilla, una fornaia avara che lo percepisce come un peso. Prima di lui ella ha allevato una cugina del ragazzo, Susanna Bridehead, che ora vive sola a Christminster. Drusilla Fawley non ama i due ragazzi anche perché i matrimoni dei loro genitori sono stati entrambi fallimentari: per questo ella, nubile e religiosa, è convinta che i Fawley non siano destinati a sposarsi, e non perde occasione per ricordarlo rudemente al piccolo Jude.
Jude ama molto leggere, altro motivo per cui la zia lo considera uno sfaccendato. Appare sulla scena mentre il suo amato maestro, Richard Phillotson, sta lasciando Marygreen per trasferirsi a Christminster, dove intende intraprendere la carriera universitaria. Jude decide che seguirà il suo esempio, e negli anni successivi studia da autodidatta, confusamente ma con molta passione, i classici latini e greci. Giunto a diciannove anni inizia a lavorare come scalpellino, trasferendosi nella vicina Alfredston; non ama il suo lavoro, che vede come un mezzo che gli permetterà di risparmiare quanto necessario per trasferirsi a Christminster, per lui una sorta di nuova Gerusalemme del sapere: continua infatti indefessamente a studiare di notte, nonostante le diuturne fatiche. Incontra però Arabella, una spregiudicata ragazza del posto, ed inizia sentire il richiamo dei sensi, che lo distrae dallo studio. Dopo aver guidato Jude alla scoperta delle gioie del sesso Arabella si finge incinta, per costringere Jude a sposarla. Quasi subito però il carattere rozzo della moglie e quello acculturato di Jude entrano in conflitto, e dopo pochi mesi Arabella lascia il marito trasferendosi con i genitori in Australia. La ritrovata libertà porta Jude a riprendere il suo sogno universitario: si trasferisce quindi a Christminster, dove lavora al restauro di antiche chiese sognando di entrare in un college; passeggiando per la città, sotto gli alti muri che separano gli edifici universitari dalle strade, gli sembra di percepire le voci dei tanti sapienti che hanno studiato in quel luogo. Non tarda però a scoprire la dura realtà: non avrà mai i soldi necessari per entrare all’Università, e quando scrive una lettera ad alcuni rettori per chiedere un consiglio uno solo si degna di rispondergli, con uno sprezzante biglietto: ”mi sembra di capire, da quello che mi dite voi stesso, che siete un operaio. Ardisco pensare che avrete migliori probabilità di successo nella vita restando nel vostro campo e perfezionandovi nel vostro mestiere, che scegliendo qualunque altra via. Questo è il mio consiglio”.
La tremenda delusione rispetto ai suoi ideali di vita è compensata dall’incontro con la cugina Sue, una ragazza attraente, volitiva e colta, di pensiero molto libero rispetto alla morale corrente, anche se di fatto incapace di provare vere passioni. Tra i due nasce un profondo rapporto amicale; Jude se ne innamora, affascinato dalla sua personalità e dalla sua cultura, ma è incapace di dichiararle il suo sentimento; non riesce neppure a confessarle di essere già sposato, temendo che questo la allontani da sé. Tramite Phillotson – che Jude ha contattato, constatando amaramente come anch’egli abbia fallito nelle sue ambizioni universitarie – Sue ottiene un incarico di insegnante nel villaggio in cui anche lui insegna, e si trasferisce lì. Jude intuisce presto che il maestro, sebbene molto più anziano di Sue, prova un sentimento particolare per lei, non disdegnato. Disperato, finisce per ubriacarsi in una bettola, dove reciterà il Credo in latino per alcuni volgari astanti.
Sue finirà per sposare Phillotson, anche se il matrimonio non verrà consumato per l’invincibile repulsione fisica che lei prova per lui. Jude, che ha finalmente trovato il coraggio di confessarle di essere già sposato, accarezza per breve tempo il sogno di poter abbracciare la carriera ecclesiastica, venendo presto ancora disilluso.
Le vicende raccontate dal romanzo sono ancora molte: Sue e Jude avranno infatti alcuni anni di relativa felicità comune quando i loro infelici matrimoni verranno annullati e i due cominceranno a vivere more uxorio, sempre guardati con sospetto ed emarginati per il loro status irregolare dalle comunità in cui vivono. I fantasmi del passato inoltre non tarderanno a tornare, in particolare sotto forma di Piccolo Padre Tempo, un bambino figlio di Jude e Arabella che quest’ultima, tornata in Inghilterra, ha spedito all’ignaro padre. Piccolo Padre Tempo è il soprannome con cui il bambino si presenta ai suoi nuovi genitori: è triste, precocemente invecchiato, non ha la spensieratezza dei suoi coetanei ma già riflette amaramente sulla condizione sua, dei suoi cari e del mondo in cui vive. Sarà il deus ex machina di una tragedia che distruggerà per sempre la momentanea e illusoria felicità in cui vivevano Jude e Sue. Ovviamente un romanzo dai toni così cupi non può avere alcun lieto fine: si concluderà con la prematura morte del protagonista.
Sul romanzo la critica si è a lungo esercitata per oltre un secolo e continua a farlo anche oggi, a testimonianza della sua importanza nella letteratura inglese, della vastità delle tematiche che tratta e della complessità dei personaggi che vi compaiono.
Un filone critico pone l’accento sugli aspetti esistenzialisti e schopenhaueriani che caratterizzano il romanzo. La Wille di Jude, la sua brama di vivere ed elevarsi non può che scontrarsi con un Fato malevolo che finirà per schiacciarlo, senza che alcun dio possa aiutarlo. Quella di Hardy come scrittore latore di un pessimismo cosmico, i cui personaggi si agitano invano per sfuggire ad un Destino oscuro, predeterminato e immutabile di cui una natura indifferente è la manifestazione tangibile, è un’interpretazione complessiva dell’opera dell’autore nella quale mi sono imbattuto sin dalla mia lettura di Tess alcuni anni fa: già allora la rigettai, e le letture di successive opere di Hardy mi confermarono nella mia convinzione; tanto più ora, dopo la lettura di questo romanzo, essa mi appare inadeguata a illustrare compitamente la poetica di Hardy.
In Jude l’oscuro infatti a mio avviso emerge chiaramente l’intento dell’autore di criticare aspramente due capisaldi della società tardo-vittoriana in cui viveva: l’istituto del matrimonio – con la sua indissolubilità sancita dalla chiesa – e, strettamente connessa ad esso, la morale sessuale corrente. Inoltre, e forse per certi versi anche più importante, vi si ritrova anche la denuncia dell’impossibilità dell’accesso alla cultura come mezzo di riscatto sociale per le classi subalterne dell’epoca.
I malanni sentimentali di Jude nascono dalla necessità, imposta dalle convenzioni, che egli sente di sposare una ragazza che ritiene incinta per causa sua: sa già che, quanto a sensibilità e interessi, Arabella gli è molto lontana, ma deve sposarla. Il loro matrimonio è quindi la conseguenza dell’esperienza sessuale e delle sue (presunte) conseguenze: è un contratto che lega per la vita sulla base di emozioni transitorie, passate le quali si devono fare i conti con le personalità di ciascuno. Anche dopo la separazione l’ombra del matrimonio con Arabella aleggerà sempre nel suo rapporto con Sue, e sarà proprio il ritorno dei suoi frutti avvelenati che porterà al suo definitivo annientamento.
Di converso, il matrimonio di Sue con Phillotson è figlio del desiderio di lei di sottrarsi ad una ingiusta accusa di leggerezza, ed avviene prima sia stata verificata l’intesa sessuale tra i due contraenti, intesa che Sue non troverà mai. Due fallimenti che quindi mettono in risalto le distorte relazioni tra un istinto naturale quale quello sessuale e un istituto sociale nato proprio per regolamentarlo: esso richiede che si giuri fedeltà eterna ad un’altra persona sulla base di un’esperienza parziale o assente, comunque transitoria. Significativamente, il solo periodo di relativa felicità per Jude e Sue sono i pochi anni di convivenza, nei quali danno anche alla luce due bambini, anni comunque segnato dall’ostracismo socale e che si concludernno con una tragica riacquistata infelicità dei due, sancita dalla reiterazione dei precedenti vincoli coniugali.
Non è la prima volta che Hardy critica l’istituto matrimoniale: limitandosi a quanto da me letto il tema assume una precisa importanza sia nel romanzo Nel bosco sia, con toni da commedia amara, nel racconto Un semplice interludio.
La vicenda di Jude è segnata anche dal fallimento delle sue aspirazioni sociali e culturali, a causa della chiusura elitaria delle istituzioni universitarie e religiose. Questa chiusura, che ha chiare radici di classe, come ben evidenzia la risposta del rettore a Jude, è come detto rappresentata dall’altezza – più volte sottolineata da Hardy – dei muri che separano i college / templi_del_sapere dal mondo reale, ma anche dalla descrizione delle feste e processioni legate alle ricorrenze universitarie, durante le quali accademici e studenti sfilano in abiti eccentrici mentre la folla li osserva da lontano. L’autore stesso era stato escluso dall’accesso all’università, e nello scalpellino Jude – che infine intuisce come il suo lavoro concreto valga più delle eteree dispute accademiche – è facile riconoscere l’architetto Hardy alle prese con un lavoro manuale mentre aspira alla letteratura.
Come afferma Terry Eagleton, eminente critico letterario inglese di scuola marxista, il fallimento di Jude ”non ha quindi nulla a che fare con la Natura, la Provvidenza o un Dio malevolo”. Sia il suo sogno di accedere alla cultura ufficiale sia il tentativo suo e di Sue di vivere una relazione di coppia al di fuori delle regole falliscono perché in anticipo sui tempi; Hardy ne è convinto, tanto da far affermare al suo protagonista: ”i tempi non erano maturi per noi. Le nostre idee erano in anticipo di cinquantanni, e doveva finire per forza così”.
Tutto qui, quindi? Un romanzo ottocentesco di denuncia sociale? Anche se a volte si ha l’impressione che sia così, che anzi Jude l’oscuro scivoli verso il romanzo a tesi, ad una lettura più approfondita emerge altro. Emergono soprattutto dei personaggi enigmatici, come la meravigliosa Sue, un altro dei grandi personaggi femminili di Hardy. Sue all’inizio sembra il prototipo della new woman, indipendente, colta, anticonformista. Il lettore resta sconcertato dalla sua crisi religiosa, che le fa accettare, anzi ricercare attivamente ciò che aveva sempre rifuggito, sacrificando il suo sentimento per Jude. Sembra quasi che Sue sia costruita come il negativo di Jude, colei che lo mette sempre di fronte alle conseguenze sociali dei suoi sentimenti verso di lei. Il suo senso di colpa legato alla tragedia finale la travolge completamente, e la sua ricerca di una sorta di autoflagellazione morale ha tratti quasi kafkiani.
Forse però il personaggio più sconvolgente è Piccolo Padre Tempo, il bambino pensieroso capace di un gesto efferato a fin di bene. Suzanne Edwards, in un saggio a lui dedicato del 1987, afferma che Piccolo Padre Tempo non sia altri che la nemesi di Jude, l’ombra che emerge dal passato dei suoi errori. Io mi spingo oltre, azzardando l’ipotesi che egli sia la proiezione di tanti Jude nel futuro, nel secolo che si stava per aprire, nel quale nessuna certezza sarebbe più stata possibile. Se Jude dice di sé stesso di non essere forse altro che ”una povera vittima di quello spirito di irrequietezza intellettuale e sociale, che rende infelici tanti giovani al giorno d’oggi”, allora forse Piccolo Padre Tempo preconizza un vicino futuro nel quale l’irrequietezza si sarebbe trasformata in angoscia.
Questi sono solo alcuni degli innumerevoli spunti che offre la lettura di questo grande romanzo, che fanno dimenticare anche i suoi difetti, essenzialmente condensabili in una certa mancanza del dono della sintesi tipica dell’autore.
Siamo di fronte indubbiamente non solo ad un romanzo coraggioso, per riprendere l’aggettivazione di Eagleton, che va al cuore di alcune questioni sociali dell’epoca, ma anche ad un romanzo moderno, che mette in scena personaggi in qualche modo novecenteschi e sacrifica l’amore dell’autore per il realismo introducendo nella narrazione forti elementi simbolici, non ultimo un senso di disfacimento ambientale dovuto ad un progresso solo materiale, che mina l’identità stessa di un Wessex ormai scomparso, con attori che vivono ai suoi margini e non ne sono più i figli legittimi.

Autore:

Bibliofilo accanito, ora felicemente pensionato

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