Recensione di Un semplice interludio, di Thomas Hardy
Sellerio, Il divano, 2009
Il terzo capitolo della mia immersione nelle opere di Thomas Hardy non riguarda uno dei suoi grandi romanzi, ma un singolo racconto, per quanto non brevissimo. Tra il 1865 e il 1900 Hardy pubblicò, su riviste popolari dell’epoca, 52 tra racconti e novelle, in seguito quasi tutti raccolti in quattro antologie: Wessex Tales (1888), A Group of Noble Dames (1891), Life’s Little Ironies (1894) e A Changed Man and Other Stories (1913). Come accadde per i romanzi, anche la scrittura di racconti si fermò con il nuovo secolo, a seguito delle feroci polemiche suscitate dall’uscita di Jude l’oscuro: l’unico altro racconto edito lui vivente fu Blue Jimmy: The Horse Stealer, del 1911, cui ne seguirono altri due pubblicati postumi, l’ultimo dei quali nel 1992.
Di questa cospicua produzione letteraria solo una parte è stata tradotta in italiano, per lo più sotto forma di volumi che raccolgono opere tratte dalle varie antologie: di quelle originali, curate dall’autore, solo Le piccole ironie della vita è stata pubblicata in Italia. Una delle sue edizioni è dovuta a Sellerio, che ha anche pubblicato la novella Una romantica avventura (The Romantic Adventures of a Milkmaid) e che, nella preziosa collana di piccoli libri Il divano, ha dato spazio a due altri racconti dell’autore inglese, Barbara e Un semplice interludio, oggetto di queste note.
Pubblicare racconti ha costituito per Hardy, come per altri grandi autori dell’epoca vittoriana, una fonte primaria di reddito, soprattutto negli anni precedenti il successo di critica e pubblico; la loro accettazione da parte degli editori era soggetta alle ferree regole della letteratura commerciale, e per questo motivo – oltre che per una struttura per forza di cose semplificata rispetto ai romanzi – molti di essi si caratterizzano per un tono più leggero, che arriva a volte a sfiorare la commedia. A mere interlude, racconto piuttosto lungo, suddiviso in sette capitoli, rappresenta un ottimo campione di opera solo apparentemente eccentrica rispetto ai toni usuali della narrazione di Hardy, caratterizzata da un pessimismo spesso cupo.
Scritto nell’estate del 1885, fu pubblicato nell’ottobre di quello stesso anno sul Bolton Weekly Journal, rivista settimanale di un quotidiano pubblicato nella città di Bolton, nei pressi di Manchester, e quasi trent’anni dopo entrò a far parte della raccolta A Changed Man and Other Stories; appartiene quindi alla fase più intensa e matura dell’attività dello scrittore, che l’anno successivo avrebbe dato inizio, con Il sindaco di Casterbridge, alla serie dei suoi romanzi maggiori.
Protagonista del racconto è una giovane donna, Baptista Trewthen. Figlia di un piccolo agricoltore, Baptista è originaria delle isole Lyonesse, ma da circa un anno insegna in una scuola di Tor-Upon-Sea, sulla terraferma. Come nella maggior parte delle opere di Hardy, ci troviamo nel Wessex, o meglio per gran parte oltre il suo limitare sudoccidentale. In Tor-Upon-Sea è infatti agevole riconoscere Torquay, la cittadina balneare del Devon, ovvero nella geografia dell’autore del Lower Wessex, mentre Lyonesse è il nome mitologico attribuito da Alfred Tennyson, nei suoi Idilli del re, all’arcipelago delle Scilly, situate al largo della punta occidentale della Cornovaglia, regione che Hardy chiama Off Wessex; nel racconto compare anche la cittadina di Pen-Zephir, corrispondente a Penzance, da cui ancora oggi partono i traghetti per le Scilly.
Baptista non ama il suo lavoro: detesta i bambini e vive con ansia i continui cambiamenti dei programmi d’insegnamento e le ispezioni ministeriali. Avrebbe la possibilità di lasciarlo, tornando a casa per sposare David Heddegan, un ricco commerciante scapolo cinquantacinquenne, amico di famiglia, che lei però ovviamente non ama. Purtuttavia si decide a sposarlo, sia a causa delle pressioni dei genitori sia per poter lasciare il lavoro, e al termine del secondo anno di insegnamento parte da Tor-Upon-Sea giungendo a Pen-Zephir per prendere il traghetto che la riporterà sulle isole, dove alcuni giorni dopo dovrebbe sposare Heddegan. Quando giunge in città apprende che il traghetto è partito in anticipo a causa del pericolo di nebbia; deve quindi passare un paio di giorni a Pen-Zephir in attesa del prossimo, che comunque la porterà a casa in tempo per le nozze.
Mentre passeggia per la città incontra per caso un compagno della scuola di specializzazione per insegnanti, che è stato suo spasimante ma che non ha più rivisto da allora, Charles Stow. In breve Charles le dichiara il suo amore e le propone di sposarlo immediatamente: potranno quindi partire insieme per la casa di lei e mettere i genitori di lei e il promesso sposo di fronte al fatto compiuto. Dopo qualche esitazione dovuta alla paura dello scandalo Baptista acconsente, sentendosi attratta dal giovane Charles. I due quindi si sposano un paio di giorni dopo a Trufal, tornando a Pen-Zephir poco prima della partenza del traghetto per le Lyonesse, e qui accade l’imprevedibile, che chiama in causa il destino che tante volte si abbatte sui personaggi di Hardy (anche se quasi sempre a monte vi sono loro scelte più o meno consapevoli). Non intendo svelare oltre la trama del racconto, che a questo punto è giunto a circa un terzo del suo sviluppo, perché nel suo prosieguo vi sono alcuni colpi di scena che lo rendono molto godibile e che è bene lasciare alla scoperta del lettore.
Indubbiamente Baptista Trewthen è un piccolo grande personaggio della letteratura, che rimane scolpito nella mente del lettore per il suo anticonformismo passivo, soprattutto se la vicenda viene contestualizzata sullo sfondo della Gran Bretagna vittoriana. Come giustamente fa notare Benedetta Bini, curatrice del volume e autrice della bella prefazione che esplora l’universo dei racconti di Hardy, ella è figlia della legge sull’istruzione di massa del 1870: ”Non una mungitrice, o una pastora, ma una maestra di scuola, erede alienata della grande tradizione romanzesca delle governanti-istitutrici: […] mine vaganti nel rigido ordine gerarchico e sessuale della famiglia vittoriana”, il cui prototipo è stato Jane Eyre.
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